Un articolo pieno di riferimenti utili a terminare l’evidente incapacità politica di un’area del dissenso affogata nei social media, che si “autoconvince” di non dover/poter parlare al paese.
Qui il video dell’articolo
Pubblicato anche su Sfero
Questo è un articolo di proposta politica, che va ad arricchire questa serie.
Per sostenerla mi occorre comunque aggiungere un ulteriore tassello alla mia lunga argomentazione riguardo a COSA IMPEDISCE UNA POLITICA ALTERNATIVA, espressa in una lunga serie di articoli affiancati dall’ancor più lunga serie di video, dal carattere più “istintuale”.
Considero questo un soggetto di studio fondamentale per la costruzione di una proposta politica alternativa adeguata al presente e tesa ad entrare comunque nelle istituzioni, che purtroppo, anche se ritengo sia la cosa oggi necessaria come mai, in base a questa stessa analisi credo si possa dire che difficilmente vedrà la luce.
Ciononostante proseguo nel mio intento per due motivi fondamentali, di cui il primo è rappresentato dalla particolare comunicazione necessaria ad una politica alternativa, argomento sul quale ho già argomentato qui, qui, qui e qui: credo che in linea teorica la sua potenza sia ancora intatta, a patto di conoscerne le caratteristiche che la rendono “vera” comunicazione, a partire dal fatto che debba essere espressa da un “punto di emissione” che non sia “scansabile” dalla società civile e dalla politica.
A proposito di comunicazione e organizzazione, non possiamo non capire come l’uso che facciamo dei social media sia del tutto distruttivo per una qualsiasi capacità politica, dato che sono addirittura utilizzati come piattaforma di discussione in tempo reale di ambiti progettuali ed organizzativi che dovrebbero restare chiusi fino ad una vera costruzione politica, da portare poi all’esterno per averne i necessari feedback.
La presunta democraticità e trasparenza di quest’uso inopportuno dei mezzi elettronici è una delle questioni più deleterie per l’organizzazione politica.
Qui e qui due brevi riflessioni utili ad una maggiore saggezza socialmediatica.
Il secondo motivo per cui continuo comunque a spingere per una seria azione politica alternativa, ma istituzionale, riguarda il fatto che, come cercherò di dimostrare, ETICAMENTE E PRAGMATICAMENTE NON ABBIAMO ALTRA SCELTA se non quella di creare un soggetto politico partendo da un nutrito ed autorevole comitato promotore capace di costruire un’organizzazione di questo genere, in grado di sviluppare una narrazione culturale e politica alternativa al mainstream e comprensibile alla società civile tutta, senza distinzioni.
Un centro politico che provi ad imporsi all’attenzione della società civile per fermare le agende antidemocratiche e totalitarie cui è sottoposto il nostro Paese e il mondo intero.
Per suffragare quanto ho appena asserito mi occorre argomentare in merito all’impegno politico, più o meno apertamente visto come “impossibile” ormai da troppe parti della stessa area del dissenso.
Per fare ciò inizierei con il commentare alcune affermazioni del filosofo Giorgio Agamben in questo suo intervento all’ultima Commissione DuPre del 28 novembre scorso.
Dopo un fortissimo inizio in cui denuncia il presente regime, addirittura la nostra società, con parole di fuoco, il filosofo esprime alcune considerazioni su ciò che si potrebbe fare, premettendo però la condivisione dell’idea di “impossibilità di rappacificazione” che affermava essere circolata in un documento.
Mi sento in sintonia con Agamben quando dice che non c’è una via di uscita nella situazione in cui è caduta la società attuale con i suoi crimini, facendo espressamente riferimento al periodo pandemico, “[…] a meno che qualcosa o qualcuno non la metta da cima a fondo in questione”.
Dal mio punto di vista, pragmaticamente, credo che una messa in discussione del presente debba includere una questione ben precisa, come scrivevo nell’ultimo articolo, che di fatto forma una coppia a sé con quanto state ora leggendo: mi sto riferendo a quello che affermavo essere un errore nel mondo del dissenso, «[…] in cui non si prende di petto la “questione transumana” nel suo complesso con tutte le sue ricadute e derivazioni, per porla immediatamente al centro della nuova necessaria narrazione: la sola capace di avere una pur misera chance, dato il lungo sonno di cui parlo in questo articolo, di poter favorire la nascita di una massa critica adeguata alle sfide del presente. Questa scelta politica comporterebbe la sollecitazione di una grande consapevolezza da parte di un’importante fetta della popolazione potenzialmente concorde. Dovrebbe essere un nuovo paradigma di pensiero e azione che potrebbe risultare comunque comprensibile, se ben comunicato, dato che ormai tutti vediamo le trasformazioni nelle piccole grandi cose di tutti i giorni ai quali non riusciamo ormai ad apporre altro che la nostra impotenza, oltre al fatto che ai più appaiono inevitabili. La sottomissione reale e incontrollata della tecnica all’uomo sembra però un grimaldello sul quale purtroppo molti nell’area del dissenso non vogliono agire: da destra perché la tecnocrazia autoritaria è vista sempre più come l’unica soluzione capace di portare “legge e ordine” ai problemi di questa fase, da sinistra perché la tematica tocca inevitabilmente punti etici sui quali non ci vuol sentire, dato che culturalmente è da sempre impregnata di materialismo e scientismo in un modo così profondo da farla diventare la miglior attuatrice della tendenza antiumana della modernità. Invece di evitare temi ritenuti “divisivi” come le questioni etiche sulle manomissioni alla VITA, sull’intromissione psico-politica nelle famiglie e sull’ormai centrale ideologia gender la sinistra, anche presuntamente “antisistema”, dovrebbe ammettere che sotto il nome della “scienza”, in realtà puro dogmatismo scientista e materialista ad uso e consumo della tecnocrazia al potere, si compiono quotidianamente un numero incalcolabile di crimini, che imporrebbero un radicale cambio di paradigma nei programmi politici e nelle attività di un ideale stato di diritto».
Individuato quindi un punto con cui mi trovo d’accordo con il filosofo, indicando però una questione politica da sbloccare, come ho recentemente proposto qui partendo dai diritti umani, inizio a dissentire con le conclusioni a cui giunge in seguito, anche se ovviamente molte premesse sono corrette.
Agamben si chiede “[…] in che misura noi possiamo oggi ancora sentirci obbligati in questa società […] entro quali limiti possiamo rispondere a questa obbligazione, quindi parlare pubblicamente” anche se formata da uomini che sono di fatto diventati “complici” del crimine; dicendo subito di non avere una risposta esauriente alla domanda, afferma: “[…] posso soltanto dirvi quel che so di non poter più fare […] io non posso più, di fronte a un medico o a chiunque denunci il modo perverso in cui è stata usata in questi due anni la medicina, non posso non mettere innanzitutto in questione la medicina stessa […] e forse l’intera scienza”.
Se non faremo questo, secondo il filosofo “[…] non si potrà in alcun modo sperare di arrestarne la corsa letale. Ancora, io non posso più, di fronte a un giurista o a chiunque denunci il modo in cui il diritto e la Costituzione sono stati manipolati e traditi, ecco io non posso non revocare innanzitutto […] la stessa Costituzione e lo stesso diritto”.
Ricordando come sia Mussolini, sia Hitler non ebbero bisogno di cambiare le costituzioni allora vigenti, anzi trovando in esse i dispositivi adatti ai loro fini, il filosofo afferma: “[…] è possibile cioè, che il gesto di chi cerca oggi di fondare sulla Costituzione e sui diritti la sua battaglia, sia già sconfitto in partenza”.
Affermando che il suo sentire è una “conseguenza inaggirabile” di un’analisi della situazione storica in cui ci troviamo, il filosofo conclude citando Anna Maria Ortese così: “Il lavoro che ci sta davanti può cominciare solo là dove tutto è perduto, senza compromessi e senza nostalgie”.
Come possiamo sentire parole assai coinvolgenti, che però vanno ad arricchire, di fatto, quell’enorme e apparentemente inestricabile cumulo di “ragioni” che impediscono la nascita di una nuova volontà politica, capace di sfociare in azioni innovative e necessarie.
Le parole del filosofo non lasciano scampo: oltre a trattare, di fatto, le costituzioni pre 1948 alla stessa stregua di quelle successive, rinviano qualsiasi possibilità di fare qualcosa al compimento di analisi e lavori intellettuali che inevitabilmente, ben che vada, si concluderanno a distopia transumana perfettamente istituita e condivisa dalle nuove generazioni, come possiamo oggi vedere già perfettamente instradate sin dalla giovane età.
Come pretende il filosofo di poter arrestare la corsa letale della nostra civiltà? Con la sola analisi, dai tempi incerti, e non riconoscendo più i conseguimenti dello stato di diritto e delle costituzioni liberali ancora in teoria vigenti?
Oltre a questo, credo che la cosa più importante siano i VALORI che hanno portato alle costituzioni post-Seconda Guerra Mondiale, che alla prova dell’esperienza possono essere modificate per meglio aderire a quei valori, che sono quelli umanistici e dello stato di diritto.
A questo proposito, sembra che le analisi politiche tendano tutte a convergere su una sorta di fatale tecnicismo, dimenticando però parti dei libretti di istruzioni, un tecnicismo probabilmente figlio del meccanicismo materialista di questa epoca.
Come per le macchine, in cui quando una non funziona se ne progetta una migliore, si tende a vedere i meccanismi giuridici ed istituzionali solo come “dispositivi” che “o funzionano o no” dimenticando che, proprio come le macchine, vanno comunque tenuti in ordine e ben guidati, anche migliorati, ma mai abbandonati a se stessi permettendo che fattori interni ed esterni li “corrodano”, mandandoli fuori strada: cosa questa che è appunto accaduta alle istituzioni liberali che abbiamo date per scontate e che non abbiamo curato e difeso dagli attacchi esterni di poteri così forti da impossessarsi del tutto della loro guida.
Nonostante il lungo sonno generazionale di cui parlo nell’articolo precedentemente linkato, credo che non abbiamo comunque scelta, siamo obbligati a perseguire la strada politica ed istituzionale, pur con tutte le difficoltà, i grandissimi rischi, anche personali, la più che probabile sconfitta, anzi, ancor prima: nonostante l’evidente incapacità organizzativa e strategica dell’area del dissenso.
Siamo obbligati perché giunti a questo punto di sviluppo tecnologico e sistemico non abbiamo altri possibili mezzi di lotta, se non quelli di aggrapparci per un ultimo tentativo alle istituzioni esistenti, all’ormai scarno scheletro di uno stato di diritto posseduto dalle molteplici oligarchie che governano il mondo.
Tutto il resto, a mio modo di vedere, sarà un esercizio intellettuale, di vita e di lotta, pure degno, ma destinato a schiantarsi contro la più grande forza sviluppata dall’uomo: la tecnica di controllo, non controllata dalla società civile, ma unico totalizzante paradigma che tutto inghiottirà.
Prendendo le distanze da tutti gli inefficaci tentativi in atto di movimentismo “dal basso”, a tratti anche risibili, siamo quindi alla proposta politica, ricordando che l’unica forza che abbiamo in mancanza di fondi e di personalità adatte e conosciute da tutto il paese, soprattutto disposte ad agire politicamente, è l’autorevolezza: quella comunque consistente delle molte realtà che stanno elaborando politiche e realtà alternative, alcune di queste attive da anni.
Eccone alcune di diversi settori, partendo da quelle con un carattere più politico e che da anni stanno dando prova di capacità e competenza, che dovrebbero riunirsi intorno ad un tavolo per costruire quanto necessario politicamente:
Confederazione Sovranità Popolare
Moneta Positiva
MMT Italia
Centro di Gravità
Rinascimento Italia
Dovrebbero anche chiamare a raccolta le seguenti realtà a carattere di servizio, più o meno recenti, che in diversi campi stanno cercando di operare in maniera indipendente:
Sfero
Ippocrate.org
Commissione DuPre
Arbitrium
Monethica
Proitaly
Difendersiora
Avvocati Liberi
GeoCheo
Comunità Economica Indipendente
FareRete
RISO
Alfassa
Filiere Virtuose Italia
Ce ne sono molte di più ovviamente, che sicuramente non conosco.
Queste ultime, nonostante un approccio che naturalmente tende a scavalcare la politica, dovrebbero al contrario essere assai interessate a contribuire ad una costruzione politica, proprio ora, partendo da questa semplice considerazione che vale per tutti: il totalitarismo tecnocratico e transumano che si sta velocemente strutturando minaccia il totale appiattimento a sé di ogni ambito, con l’inevitabile demolizione di tutto quanto non rientri nelle sue direttrici.
Credo sia totalmente incomprensibile, per non dire peggio, non tener conto delle questioni che da anni sollevo, che qui ho cercato di sintetizzare il più possibile invitando al loro approfondimento nei numerosi riferimenti messi a disposizione.
È ora di smetterla con tutte le superficialità, le incredibili approssimazioni e incapacità strategiche e organizzative, di quanti si danno da fare in un’area del dissenso che è assai più grande di quanto la stanno restringendo le “visioni” e le “azioni” di “leader” inetti, velleitari e divisivi, evidentemente innamorati di un movimentismo antagonistico fine a se stesso e non intenzionato ad entrare in comunicazione con la società civile.
Finché continueremo a “giocare con i soldatini” su inesistenti campi di battaglia, la tecno-distopia avrà campo libero a dirottare l’uomo dove non riuscirà più a riprendersi, dato che avrà dimenticato ogni sua ragion d’essere.
19 gennaio 2023
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