La monetizzazione del deficit

Articolo tratto da Voci dall’estero

Approfondimento: la monetizzazione del deficit
E’ vero, sono un’insegnante di scuola serale…e conosco il famoso detto:
Chi sa, fa – Chi non sa, insegna!
…Non sapendo far di meglio, ecco quindi una sezione dove si possono trovare degli approfondimenti su temi di attualità, sintetizzati, rimaneggiati, rimasticati, a scopo didattico.
Sono ammessi e graditi suggerimenti e precisazioni, purché garbati!

Ecco la pillola:

ENTRATE STRAORDINARIE: CREAZIONE DI BASE MONETARIA PER FINANZIARE IL DEFICIT (monetizzazione del deficit) –

I normali cittadini e le imprese non hanno altro modo per procurarsi ulteriori entrate in eccesso rispetto al proprio reddito, che emettere dei titoli di credito che obbligano al pagamento di interessi periodici e che vanno rimborsati alla scadenza del prestito.
Ma c’è per lo Stato un modo di finanziare il proprio disavanzo che è precluso ai normali cittadini, attraverso l’emissione di nuova moneta. Nessun altro operatore economico ha la facoltà di procurarsi le entrate necessarie per sostenere la spesa in questo modo; è l’esercizio di un potere particolare che conferisce allo Stato questa facoltà: per questo motivo l’emissione di moneta con cui viene finanziato il disavanzo di bilancio è anche detta signoraggio.
Una volta era il governo o il sovrano direttamente a emettere moneta; oggi il potere di emettere moneta è nelle mani di una autorità monetaria che affianca il Governo, la Banca centrale.
In pratica una delle possibilità è che, quando c’è un disavanzo pubblico, il governo chieda alla Banca centrale di emettere moneta e versarla sul conto che il Ministero dell’Economia tiene aperto presso la Banca centrale. Se, come accadeva in Italia fino al Trattato di Maastricht (che ha vietato alla Banca centrale di finanziare il Tesoro) la Banca centrale versava sul conto del Tesoro la moneta richiesta, il disavanzo del settore pubblico veniva coperto (o finanziato) mediante la emissione della nuova moneta corrispondente al versamento nel conto.
Un’altra possibilità è che sia la Banca centrale ad acquistare i titoli del debito pubblico emessi dal Tesoro, dando in cambio al governo moneta di nuova emissione con cui sostenere le spese non coperte da entrate. Anche nel caso dell’emissione di titoli, si tratta di un modo molto vantaggioso per lo Stato di finanziarsi, perché si tratta di un falso debito, o debito “non oneroso”, dato che gli interessi sui titoli acquistati dalla Banca centrale vengono rigirati allo Stato (a meno delle spese), e che alla scadenza questi titoli possono essere rinnovati con altri titoli di nuova emissione, e così via.
Attraverso queste operazioni di indebitamento con la Banca Centrale il governo ottiene anche lo scopo di influenzare i tassi di interesse del mercato e tenerli al livello desiderato.

Quando la Banca centrale finanzia il disavanzo pubblico mediante il conto di tesoreria o mediante operazioni di acquisto di titoli del debito pubblico, essa crea base monetaria attraverso il canale del disavanzo pubblico. Si parla in questi casi di monetizzazione del deficit.

L’effetto sull’economia di un disavanzo di bilancio finanziato mediante nuova offerta di moneta, è di uno stimolo sulla domanda particolarmente elevato. L’economia viene fornita di tutta la maggiore liquidità necessaria per aumentare la spesa, senza nessuna corrispondente pressione fiscale per finanziarla (che farebbe diminuire i consumi), né alcuna sottrazione di risparmi ai cittadini, che possono essere in altro modo utilizzati.
In questi casi la questione che si pone è se la maggiore domanda messa in moto dalla monetizzazione del disavanzo avrà come effetto un aumento della produzione nazionale capace di far ripartire l’economia oppure solo e soprattutto un aumento del livello dei prezzi.
Se l’economia si trova già in una situazione di piena occupazione o dì pieno utilizzo della capacità produttiva, nella quale è impossibile aumentare la produzione per motivi di rigidità dell’offerta, l’aumento dell’offerta di moneta che finanzia il disavanzo pubblico si traduce esclusivamente in una maggiore inflazione.

In Italia negli anni ’60 l’inflazione viaggiava tra il 5 e il 10%, e nel decennio degli anni ’70 tra il 10 e il 25 %. Le cause sono molteplici, dalla monetizzazione del deficit all’inflazione importata da costo del petrolio alla spirale tra prezzi e salari connessa al meccanismo della scala mobile e alla lotta per la redistribuzione del reddito tra salario e profitto conseguente alla piena occupazione.

All’inizio degli anni ’80 le autorità monetarie italiane, aderendo alla teoria monetarista in base alla quale l’inflazione era causata da una eccessiva emissione di moneta, e dovendo mantenere alti i tassi di interesse per sostenere il cambio fisso nello SME, decisero di tagliare i finanziamenti “facili” alla spesa pubblica. Cominciarono con l’eliminare i vincoli di portafoglio delle banche (dato che le banche commerciali erano obbligate a detenere una certa quantità di titoli pubblici nel loro portafoglio), poi con il cosiddetto divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro del luglio 1981 fu stabilito che la Banca d’Italia non sarebbe più stata obbligata ad acquistare i titoli offerti alle aste e non venduti (viene così meno la funzione di acquirente residuale deti titoli invenduti, fondamentale per tenere bassi i tassi di interesse), sancendo la sua autonomia nelle decisioni di emissione di moneta.
Questa misura ebbe sul debito pubblico un effetto dirompente, perché per piazzare la gran massa di titoli il prezzo al margine delle aste scendeva moltissimo, facendo esplodere i rendimenti.
Dato che la spesa pubblica italiana, pur inferiore alla media UE, si manteneva al di sopra della pressione fiscale, che in quegli anni non era molto elevata, e dunque continuò anche dopo il divorzio a essere finanziata con l’indebitamento, successe che a partire dagli anni ’80 il debito italiano crebbe a dismisura a causa degli alti interessi, passando in un solo decennio dal 60% del PIL del 1980 a oltre il 100% nel 1990.

Infine nel 1992 il Trattato di Maastricht, oltre a prevedere la necessità del riequilibrio del bilancio pubblico per entrare a far parte della moneta unica (limiti del 3% del PIL per il deficit e del 60% del PIL per il debito), vieta esplicitamente alle Banche Centrali di concedere scoperti di conto alle amministrazioni pubbliche, nonché di acquistare direttamente titoli di debito pubblico.
L’unico motivo per emettere circolante diventa il controllo della liquidità del sistema, a discrezione esclusiva della Banca Centrale e per l’obiettivo esclusivo di mantenere stabile il valore della moneta.
L’emissione di circolante per le esigenze di finanziamento degli Stati, prima considerato un canale normale di emissione della moneta, in Europa va completamente in disuso.

A partire dal 2008, con la grave crisi finanziaria mondiale, la Gran Bretagna e gli USA (come già il Giappone dai primi anni 2000) hanno avviato una politica monetaria cosiddetta “non convenzionale” di quantitative easing (o allentamento monetario), attraverso la quale la Banca Centrale acquista titoli, sia privati che pubblici, con moneta di nuova emissione.

Il QE della Federal Reserve americana tuttavia si differenzia dalla monetizzazione del deficit di cui si è parlato, in quanto la banca centrale acquista i titoli dalle banche, non direttamente dal Tesoro americano, allo scopo dichiarato di tenere bassi i tassi di interesse per agevolare la ripresa dell’economia, e facilitare il servizio dell’enorme debito pubblico americano.
Continuando a comprare grandi quantità di titoli pubblici, le Banche Centrali non solo mantengono bassi i tassi di interesse, ma forniscono anche la garanzia che questi titoli siano riparati dalla speculazione, potendo così mantenere elevati disavanzi pubblici senza immediati problemi di sostenibilità.
La quantità di moneta emessa con questa politica dalla Fed ammonta ad oggi a più di 2mila miliardi di dollari, ed è quindi confluita nel sistema bancario. Siccome la Fed in realtà compra dei titoli sul mercato secondario, quindi titoli che già erano stati acquistati dalle banche, non si tratta di una liquidita aggiuntiva che viene immessa nel sistema, ma solo di uno scambio di titoli contro riserve che le banche detengono presso la Fed e possono utilizzare per altri investimenti.
Secondo molti analisti, il principale effetto del q.e. non è stato di agevolare l’economia reale, perché il credito praticato dal sistema bancario verso i cittadini e le imprese in realtà non è aumentato. Invece questa liquidità immessa nelle banche ha sostenuto Wall Street e la finanza speculativa, ed è considerata una concausa degli aumenti del prezzo del petrolio e delle materie prime.

Bibliografia:
Ignazio Musu – Il debito pubblico – Il Mulino
www.centrofondi.it/le ragioni di un debito pubblico così elevato
Comprendere il meccanismo del Quantitative Easing di Cullen Roche

http://vocidallestero.blogspot.it/p/didattica.html

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