Non aggiungiamo alla dittatura del sistema la nostra incapacità di comunicare
Ma vi pare che nella grave situazione in cui si trova il nostro Paese si debba parlare dei tweet di Salvini, ormai il vero Presidente del Consiglio, che fanno tanto comodo al distraente can can mediatico?
Sul vizio del tipo di governare dai social mi ero già espresso qui, e sul gioco perverso media-politica/spettacolo in questo più recente.
Le gaffe mediatiche di Salvini e ormai, praticamente, l’attività di tutta la politica sui vari media, spostano l’attenzione dalle urgenze del Paese e dalla falsa rappresentazione che il circo politica-spettacolo ne fa, per indirizzarla su polemiche artificiali abilmente rappresentate dai registi dello show.
Nei media la perversione di tale intreccio raramente diventa oggetto di discussione, di inchiesta: anche i “nemici” di Salvini, per restare sullo spunto dell’articolo, raramente osano mettere in discussione il rapporto media-politica, preferendo entrare nella polemica di basso profilo, alimentando così il gioco distraente.
Ne è un esempio il “politicamente correttissimo” Massimo Gramellini sul Corriere della Sera di ieri, che si occupa proprio di Salvini e della manifestazione organizzata per sabato, intitolandolo “Lui c’è”.
La critica che muove al ministro è certamente corretta ma, come vedremo, del tutto insufficiente per capire la perversione del rapporto media-politica.
Vediamo:
“Vorrei rispettosamente segnalare al ministro dell’Interno chi è il ministro dell’Interno. Lui. Se sapesse di esserlo, fermerebbe il maghetto merlino che gli prepara le pozioni d’odio da versare nel calderone fumante dei social. L’ultima riguarda la manifestazione di sabato prossimo. Invece di promuoverla con le facce, e magari le idee, di chi la pensa come lui, Salvini ha deciso di esporre al pubblico ludibrio il volto di chi lo critica. … Tutti accanto alla scritta ‘Lui/Lei non ci sarà’, immortalati in pose sgraziate per facilitare l’pera di dileggio. Sono i famosi ‘due minuti d’odio’ profetizzati da George Orwell, che se fosse ancora vivo farebbe parte della lista, pur essendo un anticomunista… Il ministro dell’Interno è il bersaglio preferito delle opposizioni fin dai tempi di Scelba. Ma in democrazia l’immenso potere conferitogli dal ruolo lo costringe ad abbozzare. Se una ragazzina ignorante gli augura di morire, non può metterla in Rete a volto scoperto, esponendola alla gogna. C’è Salvini. Noi ce ne siamo fatti una ragione. Se ne faccia una anche lui.”
Condivido parola per parola, tranne 4 che vedremo: la pratica di Salvini è orrenda e non dovrebbe essere degna di un rappresentate del popolo che si voglia definire democratico.
Una qualsiasi carica istituzionale non dovrebbe permettersi atteggiamenti del genere, allo stesso livello di quelli che troppo spesso vediamo sul Web.
Salvini ha il dovere di parlare di contenuti e proposte, ha anche il diritto di rispondere alle critiche, non dovrebbe però abbandonarsi a modi da bullo di quartiere: il “mobbing mediatico” può essere devastante per chi non in grado di difendersi, mentre per gli avversari può essere una ghiotta occasione di alimentare ulteriormente diatribe che nulla hanno a che vedere con il bene del Paese.
Le 4 parole, certamente provocatorie, che rendono però “insufficiente” quanto scritto dal Gramellini sono: “Se sapesse di esserlo”, riferite alla consapevolezza che Salvini dovrebbe avere della sua carica.
Il problema è, a mio avviso, che Salvini, in bella compagnia di quasi tutta la politica, se ne frega altamente delle responsabilità della sua carica.
Consapevole o meno della gravità di ciò che sta facendo, usa la comunicazione per accentrare l’attenzione su di sé, senza una vera responsabilità politica, istituzionale ed etica.
La conferma di ciò l’abbiamo proprio dallo stesso giornale, nello stesso giorno, che riporta il risultato di una ricerca fatta da una società di ricerca e comunicazione, la Eikon, con un articolo di Claudio Bozza dal titolo: “POST DI ‘PANCIA’ E NEMICI ALL’INDICE. Così Matteo supera Luigi sui social. Ricerca Eikon sui due leader: ‘5 Stelle più sobri, ma non paga’”.
Vediamo:
“Eikon… ha monitorato i profili Facebook dei due leader tra l’1 gennaio ed il 25 novembre scorsi. In questo arco di tempo Salvini ha pubblicato oltre 900 post tra commenti, foto e video, con 28 milioni di interazioni virtuali da parte degli utenti; mentre Di Maio 821 post, con 25 milioni di interazioni. … Politica e tecnologia, nella strategia di Salvini, sono strettamente correlate. La ‘Bestia’, così i leghisti hanno ribattezzato la ‘macchina’ per la propaganda Internet guidata da Luca Morisi, riesce infatti ad analizzare in tempo reale quali sono post e tweet con più successo. Ciò, analizzando il sentimento degli italiani, consente in tempo reale di aggiustare il tiro a livello empatico. In sintesi: se un post in cui si parla di immigrazione scatena reazioni del tipo ‘gli stranieri ci tolgono il lavoro’, il post successivo cavalcherà questo stato d’animo, usando parole ancora più dure. Il riscontro social di Di Maio paga un prezzo dovuto al passaggio dalla protesta del Movimento delle origini alla proposta di governo. Il linguaggio del ministro Di Maio su Facebook è diventato più sobrio, meno ‘di pancia’. In definitiva, Salvini usa Facebook come amplificatore della sua comunicazione politica sovranista, mentre Di Maio come strumento informativo sulla sua agenda di governo. Due approcci opposti, due diversi equilibri tra emozione e razionalità di governo. E così, almeno per il momento, l’ascesa della Lega sembra inarrestabile.”
C’è subito da notare lo stereotipo dei media di appellare come “sovranista” qualsiasi cosa di destra, ma qui il focus del problema è un altro: lo squallido panorama conferma l’irresponsabilità di una politica completamente disinteressata al Paese ma soltanto alla propaganda che pensa sia in grado di tenerla “in sella” più a lungo possibile.
Non assolvo certo i 5 Stelle, anche se in questo frangente Di Maio appare certamente più sobrio e corretto del collega: non si può non dimenticare l’uso dell’ingiuria e della gogna mediatica, ben altra cosa dalla critica, che ha sempre caratterizzato il movimento.
C’è un limite di correttezza che non andrebbe superato e che, anzi, andrebbe sempre più ristretto in proporzione all’ascesa del soggetto al proscenio della notorietà e della responsabilità.
Un ministro, un parlamentare, un dipendente dello Stato hanno il dovere civile ed etico di difendere l’onore della carica, della politica tutta e della Nazione di cui sono rappresentanti.
Il fatto che la politica ceda in questo modo al protagonismo offerto dai media è cosa su cui riflettiamo sempre meno, soprattutto dopo che ormai da anni una televisione “americanoide” ci ha “educati” al becero, al volgare al povero di pensiero, in ogni campo.
Abbiamo bisogno di persone serie e preparate che non abbocchino agli espedienti dei conduttori televisivi e dei giornalisti, ma che con semplici parole spieghino la truffa del debito pubblico e la falsità di tutti gli slogan di una falsa economia con cui il sistema tiene sotto lo scacco della paura il Paese intero, permettendo così all’oligarchia bancaria di governare tramite i litigiosi lacchè della politica, dei talk e della carta stampata.
Abbiamo bisogno di rappresentanti che illustrino proposte semplici e comprensibili con le quali il Paese possa tornare ad essere indipendente dai molteplici ladrocini cui è soggetto.
Forse non è facile, come possiamo constatare ogni giorno guardando qualche talk, il sistema politica-spettacolo “contagia” e “distrae” anche quei personaggi che avrebbero cultura e consapevolezza per fare quanto necessario: abbiamo visto una pur consapevole Ilaria Bifarini destreggiarsi con difficoltà dalla Gruber, domenica scorsa Bagnai fare una brutta figura dall’Annunziata nel confronto con Calenda, per non parlare del dimesso Rinaldi, ormai onnipresente, ben altra cosa dal battagliero che strappa l’applauso anche nei convegni CasaPound.
La comunicazione non è “solo” vita, come ci insegna la filosofia, è l’unica occasione che abbiamo per provare ad incrinare il muro di slogan falsi e confondenti del cosiddetto “pensiero unico”.
Se non lo capiremo dovremo rassegnarci allo scoraggiamento dato dall’avere le soluzioni e dalla contemporanea impossibilità di comunicarle e farle comprendere nella misura necessaria al cambiamento.
Una triste fine per democrazia e libertà.
Massimo Franceschini, 5 dicembre 2018
Questo il mio libro, un programma politico basato sui Diritti Umani
fonte immagine: PxHere
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