di Massimo Bordin
Come ci fu presentata nel 1995 l’Organizzazione Mondiale del Commercio? Gli smemorati se lo segnino: «produrremo di più e ci sarà tantissimo lavoro perchè i “cinesi” compreranno le nostre produzioni. Con un bacino di oltre un miliardo di consumatori avremo almeno un secolo di commesse». Questa a sommi capi è stata la narrazione che ci ha traghettati negli anni 2000.
E’ successo esattamente l’opposto: i “cinesi” hanno prodotto di più e meglio le cose che facevamo noi occidentali e ce le hanno vendute. Se andiamo da H&M la roba è fatta in Pakistan; se ci facciamo l’iphone da Mediaword, vediamo che è assemblato in Cina. La Cina è il Paese simbolo degli emergenti, ma ovviamente dobbiamo tener conto anche di Indonesia, India e Pakistan, che assieme totalizzano miliardi di essere umani.
Perchè le “tigri” non sono diventate grandi consumatrici? La tentazione è quella di rispondere con l’arretratezza salariale che impedisce all’asiatico medio di accedere a beni e servizi. In altre parole, è un attimo attribuire la colpa al mancato indotto, alla proletarizzazione del popolo cinese che non può comprarsi i beni che produce.
Peccato che questa sia un’analisi parziale e fortemente fuorviante. Chi ha ordito le trame del WTO pensando che la Cina sarebbe diventata la miniera d’oro del consumo di prodotti occidentali soffriva di seri deficit culturali e storici. Ma oggi, lo può capire chiunque frequenti i negozi cinesi presenti in Italia, dalla sartoria alla parrucchiera al bazar. I cinesi quasi dormono in negozio, coinvolgono tutta la famiglia nell’attività di produzione e distribuzione e sono molto soddisfatti di fare questo, nel senso che non ne soffrono affatto.
Inoltre, i cinesi hanno abitudini molto diverse da quelle occidentali in termini di abbigliamento e generi alimentari, la qualcosa ha fortemente penalizzato le produzioni italiane nel loro tentativo di espansione. Non ultimo, il governo cinese ha il controllo economico perchè ciò che rimane del maoismo prevede la painificazione, che è rimasta in capo ai vertici del partito anche nel caso di un’economia di mercato. Dunque, i cinesi non consentono di vendere nel Paese di Mezzo se non a determinate condizioni, per le quali occorre dimostrare che ci sono vantaggi anche per i produttori e per lo Stato cinese stesso.
Proponiamo acuni esempi.
Nel caso delle abitudini alimentari, ad incidere non è solo la tradizione, ma anche la dinamica evolutiva, impercettibilmente diversa. In un vecchio articolo del post ad esempio, si leggeva:
Molti cinesi e abitanti del Sud-est asiatico sono intolleranti al lattosio e quindi non digeriscono perfettamente latte e derivati, con conseguenze più o meno gravi.
Il lattosio è uno zucchero presente nel latte dei mammiferi – compreso quello umano – composto da glucosio e galattosio, due zuccheri semplici legati insieme. Da piccoli il nostro intestino produce la lattasi, l’enzima che aiuta a scomporre gli zuccheri del latte materno e digerirlo. Crescendo, la capacità di produrre lattasi diminuisce e le persone possono diventare intolleranti al latte. La capacità di digerire il lattosio da grandi è dovuta a una mutazione genetica che si diffuse non prima di settemila anni fa in Europa, favorita dalla difficoltà di cacciare gli animali selvatici e dalla pastorizia, originariamente per nutrirsi della carne. Chi era affetto dalla mutazione riusciva a nutrirsi di latte e latticini e poteva contare su più cibo e proteine, e quindi su una maggiore possibilità di sopravvivere e trasmettere i propri geni, mutati, ai figli. Oltre che tra le popolazioni caucasiche dell’Europa, la mutazione si diffuse in Medio Oriente e in Africa, soprattutto perché le società erano fondate su allevamento e pastorizia. Gli abitanti della Cina invece risposero alla necessità di proteine utilizzando la soia e il tofu, ricavato dalla cagliatura del succo di soia, la cosa più simile al nostro formaggio.
Dunque, anche se le cose stanno un po’ cambiando, gelati e formaggi italiani non hanno mai trovato un mercato in Cina.
La maggior parte del gelato che troverete in Cina è quello preconfezionato tipo cornetti, cremini e ghiaccioli, ma per quello artigianale le porte sono chiuse. Così, mentre Grom apre a New York, in Cina possiamo scordarci una proliferazione del marchio italiano. E questo vale per un sacco di altri prodotti, non solo alimentari. Le lavatrici di Pechino, ad esempio, non sono ad acqua calda perchè le famiglie cinesi non le usano e usano una tipologia di lavatrice molto differente che utilizza solo l’acqua a temperatura ambiente. Come possiamo immaginare, questo significa che tutto il nostro comparto elettrodomestico che produce lavatrici viene tagliato fuori. Candy ad esempio si è trasferita in Cina di recente, ma allo scopo di vendere gli apparecchi a noi europei…, non in Cina.
I recenti dazi, il protezionismo e la revisione dell’ideologia wto, dunque, non devono stupirci più di tanto. Il fallimento della globalizzazione non è culturale – anzi, da quel punto di vista ha funzionato abbastanza – ma eminentemente economico per il Vecchio Continente. Stati Uniti con Trump e Gran Bretagna con Brexit se ne sono accorti! Chissà che prima o poi anche l’Europa si svegli.
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