di Massimo Bordin
«La violenza va sempre condannata! Senza se e senza ma». Quante volte l’avete sentita dire, eh? Spesso allo slogan si aggiungono mirabolanti iperboli retoriche del tipo «i violenti sono pazzi».
Il moralismo (interessato) sul tema della violenza, delle insurrezioni e della protesta si è acuito in questi giorni a causa del golpe finanziario che ha colpito il Paese, il gran rifiuto di Mattarella, ecc ecc. Come se non fosse sempre stato di assoluta evidenza che ci sia violenza e violenza, dunque con tanti «se» e altrettanti «ma».
E oggi, ma come sempre nella storia, dietro al tabù della violenza non si nasconde altro che la propaganda dell’élite che teme di essere rovesciata.
Con dovizia e abilità, questi gruppi di potere mascherano la loro violenza strisciante con il moralismo antirivoluzionario. Moralismo paternalistico che potrebbe essere sintetizzato così: “uccidere è brutto e cattivo, bambini! E’ cacca e pupù, siate buoni e speranzosi”.
Il nuovo e progredito mantra della civiltà radical chic lo sostiene in tutti i campi, non solo in quello dell’inviolabilità dei corpi invocato fin dai tempi della Magna Carta, ma anche attraverso la censura delle parole e delle opinioni. Nessuno tocchi Caino.
Da quando ci sono i social capita anche di confrontarsi su questi temi in modo più elaborato di come poteva accadere al bar dello sport. Sui social, bontà loro, si possono infatti produrre filmati, tabelle e citazioni storiche, utili a corroborare le proprie tesi. Ebbene, sul tema della violenza chi scrive è stato più volte bannato e costretto a sua volta a segnalare (ed anche chi la pensava allo stesso modo su tante altre questioni).
Citando il vecchio adagio del satirico Edika: perché tanto odio?
Da un lato, la retorica buonista si afferma perché l’antiviolenza ed il pacifismo da salotto imperversano tempestando le fragili menti di bolsa retorica e di dogmi; dall’altra, perchè le fila di chi spende una parola pro-violenza si ingrossano spesso di macchiette fascistoidi ricoperte di tatuaggi. Nicchie subculturali per nulla credibili.
Diciamo che alle èlites dominanti questa situazione non pare vera: nessuno mette più concretamente in discussione il loro potere, e poco vale che essi non garantiscano alcun benessere diffuso, che impoveriscano i popoli, che imperversi la discriminazione tra classi sociali e che strozzino i padri di famiglia con un sistema usuraio di debiti e crediti. Anche se Lor Signori possono impunemente continuare con questo sistema economico irrazionale, anche se la disparità tra chi possiede e chi non possiede ha raggiunto vette feudali, nessuno oggi può ribellarsi, tranne che mediante innocue manifestazioni, cartelli goliardici, flashmob, scioperi programmati. Peccato che queste modalità vadano bene quando le forze e gli interessi in campo sono simili, quando il peso dei contendenti sul piatto della bilancia non si discosta di molto.
Quando però un Davide si trova di fronte ad un Golia, il primo ha bisogno di colpire. E duro. E forte.
Colpire senza tanti “se” e senza tanti “ma”.
Questo i pacifisti non lo vogliono sentire. I politici non lo vogliono sentire, i potenti non lo vogliono sentire. “È violenza, poffarbacco, evitiamo”
Ma non basta l’inazione! Di questo tema neanche se ne può discutere: si viene etichettati subito come nazistoidi, meritevoli di gogna mediatica o di essere segnalati (la chiameremo “la sindrome di Bugs Bunny”).
Al dunque, se la violenza è sempre esecrabile, come dicevamo, accusereste di scempio anche Sir Oliver Cromwell che armò un Esercito di Nuovo Modello contro il suo Re, Carlo Stuart? Impugnereste la sentenza al tribunale d’Inghilterra che nel 1649 fece tagliare la testa a quello stesso sovrano? Puntereste il dito contro i coloni americani quando uccisero a migliaia i loro cugini inglesi durante la battaglia di Yorktown o in quella fratricida contro i negrieri a Gettysburg? Togliereste dalle strade delle nostre città le targhe dedicate a Garibaldi, a Mazzini, a Buonarroti, che ai loro tempi furono condannati, incarcerati ed esiliati perché attentarono alla vita di ufficiali austriaci e di prelati cattolici?
Oppure qualche imbecille vi ha persuaso che Lafayette mettesse i fiori nei cannoni di Re Luigi XVI? Questi cannoni, amici, venivano regolarmente puntati contro la gente comune, a Parigi, le notti d’estate del 1789.
Sia chiara una cosa. Chi scrive prova disgusto quando assiste a un pestaggio gratuito, alla prepotenza dei forti contro i deboli, financo all’umiliazione verbale. Ma questa è violenza “BRUTTA E CATTIVA”!
La violenza “brutta e cattiva”, al dunque, non mi piace!
Ma la violenza “bella e buona”?
Ooooooooh, la violenza “BELLA E BUONA”! eccome se mi piace.
Quando Gaetano Bresci spara in faccia ad Umberto I, il re che aveva preso la folla a cannonate in quel di Milano, quella si che è violenza … ma bella e buona.
Oppure che dire di Toro Seduto, che sterminò il battaglione di Custer, generale simbolo di una nazione che aveva portato gli indiani pellerossa verso l’estinzione? Per non parlare dei soldati russi a Berlino di fronte allo spettacolo dei campi di sterminio. Non furono affatto teneri con i tedeschi rimasti, sapete?
Ma perché non buttiamo la palla oltre lo steccato, anche esagerando un pochino?
Robespierre, l’orrendo butterato condannato da tutti i libri di storia, fece però anche sparire dalla faccia della terra molti parassiti e burocrati che avevano schiavizzato i contadini francesi per secoli. Era violenza brutta e cattiva quella?
Naaaaa, per me chi elimina gli schiavisti è un violento BELLO E BUONO
Ecco allora che il tabù della violenza «senza se e senza ma» si rivela per quello che è in verità: la maschera dei privilegiati. E’ il tentativo debole di sostituire nietzschianamente i valori guerrieri di onore e forza con disvalori materialistici e pseudorazionali. La Lotta viene sostituita dal valore dell’incolumità. Lo spirito del cacciatore viene così scambiato con quello del parassita; nasce il garantismo per i virus.
L’avvoltoio è celebrato. L’aquila è denigrata. Il leone è deriso. La iena se la ride.
In altre parole ancora, abolire la violenza dalla dimensione dell’umano significa entrare in un nuovo paradigma feudale, involutivo, che rinuncia a credere nell’uomo e nella prassi come motore della storia per delegare tutte le scelte al determinismo, ai parassiti del potere. Inamovibili …, e questa volta per sempre. Qualcuno lo chiamerebbe pensiero unico.
L’Umanesimo l’aveva capito per primo: ci sono forze che si oppongono alla prassi umana e che vogliono relegarla a comprimaria della storia. Ci sono i veri violenti del caos che pretendono di nascondersi nel tinello di casa dopo aver eliminato i promotori della ragione, del buon senso e dei valori.
Parafrasando De Gregori la storia siamo noi, e non dobbiamo nè possiamo permettere che la sana ribellione scompaia dalla sfera dell’umano.
Fosse anche a colpi di pugnale.
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