di Francesco Cappello
Da 630 a 400 deputati, da 315 a 200 senatori? Complessivamente si tratterebbe della riduzione di circa un terzo dei parlamentari. Si passerebbe da una maggioranza assoluta di 476 parlamentari a una ottenibile con soli 302.
Qualsiasi sia l’esito del referendum, i parlamentari eletti continueranno a essere scelti dai partiti secondo criteri di affidabilità, malleabilità ecc.. Essi dovranno continuare a rendere conto alle segreterie dei loro partiti piuttosto che direttamente ai cittadini elettori. A parlamentari sotto il mandato imperativo delle proprie segreterie rischia di aggiungersi un Parlamento ancora più ancella del governo, ridotto a mero ratificatore delle sue leggi. È dal 2005, infatti, che ai cittadini italiani è stata tolta la possibilità di scegliere i propri parlamentari contro le indicazioni dell’art. 48 della Costituzione che vuole il voto quale espressione personale dell’elettore. Con il Rosatellum bis (2017) è impedito sia il voto di preferenza (che consentirebbe l’elezione dei candidati che risultassero con più voti di preferenza) che quello disgiunto (che permetterebbe di votare per un partito e un candidato di differenti schieramenti); sono difatti i vertici dei partiti a nominare i parlamentari.
Il cavallo di Troia
È lecito sospettare che la riduzione dei parlamentari rappresenti il cavallo di Troia che permetterà alla riforma costituzionale del 2016 buttata fuori dalla porta di rientrare dalla finestra (2). A taglio avvenuto basteranno, infatti, 267 deputati e 134 senatori (i 2/3 secondo l’art. 138) per cambiare, anche radicalmente, la Costituzione senza che i cittadini potranno rigettare tali scelte.
Per di più la legge elettorale consente al governo la conquista della maggioranza assoluta del Parlamento in seduta comune con solo il 35% dei voti validi. Sarà così molto più facile decidere chi sarà il presidente della Repubblica (art. 90), così come metterlo sotto accusa qualora non collaborasse ed eleggere 5 membri della corte costituzionale (quelli di sua competenza) ma se il presidente della Repubblica sarà espressione diretta del governo saranno 10 su 15 i membri della corte costituzionale esprimibili dall’esecutivo… (Si ricordi che la Corte Costituzionale è composta di quindici giudici, nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative) (3).
Distanziamento tra Parlamento ed elettori
Come si sa Camera e Senato hanno entrambe 14 commissioni permanenti (1) che hanno una funzione centrale nella costruzione del processo legislativo. L’articolo 72 della costituzione italiana stabilisce che esse siano composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari. La riduzione dei parlamentari avrebbe, quindi, come diretta conseguenza, la mancata rappresentanza dei gruppi minoritari in molte delle 14 commissioni. In alternativa l’unico modo per dare loro rappresentanza in tutte le commissioni sarebbe quello di assegnare un singolo parlamentare in più commissioni contemporaneamente. In questo modo però si avrebbero due effetti collaterali: da una parte la sovrarappresentazione delle forze politiche di minoranza rispetto alla loro effettiva consistenza proporzionale e la necessità per quest’ultime di dover scegliere in quali commissioni essere presenti. Se così dovesse accadere, essendo privi del dono dell’ubiquità, mancherebbero di esercitare il loro ruolo di opposizione rispetto alla fondamentale funzione legislativa, ispettiva e di controllo in tutte quelle commissioni da cui risulterebbero necessariamente assenti.
Questa revisione costituzionale mette in discussione il principio di eguaglianza espresso nel combinato congiunto degli articoli 3 (senza distinzione…), 48 (del diritto di voto), 51 (del diritto di candidarsi) della Costituzione.
La riduzione su base regionale
Si tenga presente che nel nostro paese, in cui il rapporto tra parlamentari ed abitanti non era certo fra i più alti in Europa (in Scandinavia, così come in altri paesi con solide tradizioni democratiche, tale rapporto era doppio rispetto al nostro), abbiamo, già da tempo, rinunciato alla ricchezza apportata nel dibattito parlamentare dalle minoranze, rinunciando al sistema elettorale proporzionale.
La riduzione del 36% in media su base regionale (vedi figura) mostra casi di accentuata disuniformità. Per fare qualche esempio, la Lombardia passerebbe da 49 senatori a 31, saranno quindi necessari 313 mila lombardi per eleggere un senatore mentre nel trentino sud tirolo, che passerebbe da 7 a 6 (riduzione del 14%), ne basterebbero 171 mila. La Calabria da 10 a 6 come in Trentino ma con il 90% della popolazione in più… In Umbria una riduzione della rappresentanza al Senato del 57% …
Già i tagli dei consiglieri regionali hanno introdotto buchi incolmabili di rappresentanza. In Toscana, per fare un esempio, al parlamento regionale dopo il taglio dei consiglieri regionali da 55 a 40 e del numero degli assessori (da 10 a 8), il risultato è stato che tanti territori sono stati privati della rappresentanza dell’opposizione nel parlamento regionale, ma spesso anche della maggioranza come accade, ad esempio, nella bassa Val di Cecina che non elegge un consigliere regionale. Durante le campagne elettorali diventa allora normale che i partiti si polarizzino sulle “zone che contano”.
Il risultato finale è che nessuno può farsi portavoce dello stato delle cose in queste aree del Paese. Il risultato è una periferizzazione politica di aree considerate marginali, “minori” dove la partecipazione attiva di consiglieri, assessori e sindaci, quando esistente, è pochissimo retribuita e avviene più che altro su base volontaria.
Ascoltiamo le ragioni dei padri costituenti (dai verbali della costituente)
TOGLIATTI: Onorevoli colleghi, nonostante i fulmini che ci ha minacciato l’onorevole Conti, il nostro Gruppo parlamentare voterà per la cifra più bassa. E questo per due motivi. In primo luogo perché una cifra troppo alta distacca troppo l’eletto dall’elettore; in secondo luogo perché l’eletto, distaccandosi dall’elettore, acquista la figura soltanto di rappresentante di un partito e non più di rappresentante di una massa vivente, che egli in qualche modo deve conoscere e con la quale deve avere rapporti personali e diretti.
M. CEVOLOTTO: Se noi facciamo le elezioni con il sistema proporzionale e riduciamo, come è nel proposito di molti, l’estensione dei collegi, diminuendo il numero dei deputati, la proporzionale non funziona più. Faccio presente questo inconveniente. Noi ci troveremo con collegi che avranno cinque o sei deputati soltanto, ed in questo caso la proporzionale non raggiungerà lo scopo di dare una rappresentanza a tutte le correnti politiche.
TERRACINI: accetta la proposta dell’onorevole Fuschini per tutte le argomentazioni che egli ha svolto, e desidera dire che le argomentazioni contrarie esposte dall’onorevole Conti in realtà sembra che riflettano certi sentimenti di ostilità, non preconcetta, ma abilmente suscitata fra le masse popolari contro gli organi rappresentativi nel corso delle esperienze che non risalgono soltanto al fascismo, ma assai prima, quando lo scopo fondamentale delle forze antiprogressive era la esautorazione degli organi rappresentativi. Quanto alle spese, ancora oggi non v’è giornale conservatore o reazionario che non tratti questo argomento così debole e facilone. Anche se i rappresentanti eletti nelle varie Camere dovessero costare qualche centinaio di milioni di più, si tenga conto che di fronte ad un bilancio statale che è di centinaia di miliardi, l’inconveniente non sarebbe tale da rinunziare ai vantaggi della rappresentanza.
Risparmio?
Si risparmierebbero nella più ottimistica delle ipotesi 100 milioni all’anno. Essendo 50 milioni circa gli elettori il risparmio per ciascuno di loro sarebbe di 2 euro all’anno, il costo di una colazione al bar… Come è noto lo stesso risultato, poteva essere ottenuto, come nella prima proposta dei 5s, riducendo le indennità dei parlamentari del 50%, piuttosto che il loro numero…
Viceversa, anche se si tratta di qualche decina di miliardi all’anno, nessuno mette in discussione la modifica in Costituzione all’art.81, attiva dal 2012, che nella forma imposta dall’allora governo Monti, ci obbliga, oggi, al pareggio o equilibrio di bilancio, funzionale al “fiscal compact” e all’impoverimento progressivo ed inesorabile del paese!
Perché nessuno mette in discussione quella modifica? Forse perché privando la politica dei necessari strumenti finanziari la si riduce a simulacro di sé stessa impedendole qualsiasi investimento pubblico perché “mancano i soldi” come Monti &company ci ripetono ormai ossessivamente mentendo clamorosamente ai cittadini italiani. (Vedi Il Piano di salvezza nazionale).
Più di 200 i costituzionalisti che si sono espressi per il no al taglio dei parlamentari sottoscrivendo un appello.
Con le parole di Paolo Maddalena:
“La proposta di ridurre il numero dei parlamentari è un attacco alla Costituzione, che diminuisce la democraticità della rappresentanza politica e aumenta i poteri dell’esecutivo, facilmente dominabile dalla finanza e dalle multinazionali”.
“Crea effetti perniciosi sul principio di eguaglianza del voto, vista la diminuzione del numero dei parlamentari comporterebbe, per fare un esempio, che i seggi in Senato del Piemonte passerebbero da 7 a 6, mentre quelli della Basilicata da 7 a 3”
la “capacità di decidere”, facile da ottenere in un parlamento con un numero inferiore di deputati barattata con la funzione di rappresentanza dei cittadini.
“Rappresentare non significa solo esprimere un voto in Parlamento in modo proporzionale ai voti ricevuti dagli elettori” ma significa prima di tutto saper ascoltare gli elettori, per comprendere i loro bisogni e riportarli nelle discussioni e decisioni parlamentari. Se la necessità fosse solo quella di decidere, infatti, sarebbe ancora più facile farlo riducendo ulteriormente il numero di parlamentari, magari a 40 membri, 2 per regione. Se, invece, la necessità è quella di ascoltare i cittadini, allora è certamente più facile farlo disponendo di un numero maggiore di parlamentari”. (Vedi su attivismo.info: Il pensiero di Umberto Terracini e dei padri costituenti sul numero di parlamentari)
Oggi, a decidere le leggi da approvare, sono sempre più i leader politici. Il Parlamento che volesse approvare una legge contraria a quella dei leader di partito che stanno al governo rischierebbe di provocare una crisi di governo.
L’enorme abuso della decretazione d’urgenza ci assimila ai regimi dittatoriali.
Nella massima fascista: “fatti, non parole!” i fatti, assimilabili al potere esecutivo, prevalgono sempre più sulle parole; il potere legislativo diviene nell’immaginario collettivo il luogo della “chiacchera inconcludente“ mentre l’esecutivo si appropria del ruolo del parlamento.
Mentre constatiamo come il Parlamento sia (grazie ai cambiamenti imposti gradualmente alla architettura istituzionale prevista dalla Costituzione del 48) sempre più subordinato al Governo, ci chiediamo quanto avanti risulta la proposta di affermazione dello schema presidenzialista.
In quest’ordine di idee, Fratelli d’Italia ha rilanciato la proposta di elezione diretta del Presidente della Repubblica, che sancirebbe la fine della repubblica parlamentare disegnata dalla Costituzione.
Per Davide Casaleggio “Il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile” e “tra qualche lustro è possibile” che il Parlamento “non sarà più necessario nemmeno in questa forma”.
Il parlamento che in altri paesi è centrale da noi è ormai percepito di impiccio. Se potessero lo eliminerebbero.
Hanno cominciato proponendo il monocameralismo che sommato al maggioritario sarebbe deleterio.
Il sistema elettorale perfettamente proporzionale, previsto dalla Costituzione del 48, era in grado di rappresentare l’intero arco delle posizioni politiche, includente le minoranze, ma questa possibilità, prevista dai costituenti, è un bene che ci è stato sottratto e che bisognerebbe riconquistare.
Il filo conduttore del ddl Renzi sulla c.d. Buona scuola (BS) è coerente con il nuovo corso che si vorrebbe definitivamente imporre al paese: il potenziamento dell’autonomia significa “rafforzare la funzione del Dirigente scolastico (DS)” (art. 2) che diventa “responsabile (..) delle scelte didattiche, formative, della valorizzazione delle risorse umane e del merito dei docenti” (art. 7) ambendo ormai apertamente a sostituirsi al collegio docenti quale superiore gerarchico agli organi collegiali, verso una supremazia giuridica del DS con il suo corteo di vicari (novello CdA della scuola/azienda). Una supremazia che tende, quindi, ad essere espressa anche in merito alle politiche della didattica e dell’educazione, utili, a sua volta, a trasformare il “materiale umano” ossia quelli che una volta si chiamavono gli studenti (etimologicamente: colui che desidera) in esecutori fedeli delle istruzioni loro impartite.
La BS rappresenta un “progresso” anche rispetto al decreto Bassanini per il quale il dirigente scolastico (non più il Preside…) doveva esercitare poteri di direzione, coordinamento e indirizzo ma nel rispetto dei poteri degli organi collegiali.
La BS contiene, infatti, anche una delega sulla riforma degli organi collegiali. Autonomia è equivalente in pratica ad aziendalizzazione e gerarchizzazione, con connessa competizione delle scuole sul mercato per accapararsi i finanziamenti (vedi PON. ecc.). Non è a caso che i voti hanno ricevuto nel nuovo contesto, in cui il paese intero è stato ribattezzato azienda Italia, l’appellativo di debiti e crediti; si è scelto, coerentemente, da 35 anni a questa parte, che il modo “legittimo” di finanziarsi sia quello dell’indebitamento sui mercati esteri a cui abbiamo imparato a sottometterci perché “bisognosi” di prestiti esteri internazionali.
Lo spiazzamento della politica nazionale si misura anche dalla condizione in cui versa il potere legislativo nel contesto europeo, nel quale al Parlamento nazionale è chiesto di limitarsi alla ratifica delle direttive europee (chissà perché si chiamano così?) decise col contributo determinante dei numerosissimi lobbisti, rappresentanti di interessi corporativi di multinazionali, agenzie finanziarie ecc., stanziali a Bruxelles, col compito di far valere i loro interessi di parte. Il parlamento europeo ha, come si sa, a sua volta, poteri assai limitati. È un simulacro di democrazia. Il vero potere risiedendo nella Commissione, nel Consiglio europeo e nella BCE, a loro volta controllati dagli emissari delle grandi banche d’affari private globali e dai grandi fondi di investimento speculativo con cui sono interconnesse.
La riduzione è funzionale ad un Parlamento che si limita a ratificare leggi proposte da esecutivi che governano a colpi di fiducia, dpcm (semplici atti amministrativi spacciati per leggi), task force di 450 sedicenti esperti espressione di interessi di grandi multinazionali, il tutto in un completo ribaltamento dei ruoli in aperta violazione della Costituzione.
Sempre più apertamente ci si muove verso una amministrazione automatica, una governance, in cui tutto deve rispondere a criteri di natura algoritmica decisi altrove (poteri sovranazionali, dittatura del mercato del denaro ecc.). Si pensi alle lettere Ue che, negli anni, ci hanno imposto austerity, politiche di bilancio restrittivo ecc. sotto la minaccia di piani di aggiustamento strutturale previsti in quegli organismi “salva stato“ che abbiamo masochisticamente ratificato e finanziato, come il MES. non siamo buoni a decidere ma abbiamo sempre bisogno di una supervisione il cosiddetto vincolo esterno (vedi LA DEMOCRAZIA SOVRANA, LA CONDIZIONALITA’, IL VINCOLO ESTERNO E IL “VINCOLONE” (TTIP). di L. Barra Caracciolo).
Tutto questo appare coerente con l’ospitalità offerta alla Commissione Trilaterale in Quirinale che fu il primo atto di Mattarella appena insediato. La Trilaterale, che è una sorta di pensatoio della grande finanza internazionale, già negli anni 70 “suggeriva” che i nostri guai, e in generale quelli dei paesi europei, si dovessero individuare nell’eccesso di democrazia e di potere concesso alla classe operaia dalle costituzioni antifasciste del dopoguerra.
Aggiungiamo che la politica italiana, e in particolare quella estera, non è mai stata veramente autonoma dai tempi, ormai lontani, di A. Moro ed E. Mattei che pagarono con la vita l’affronto perpetrato nei confronti del potere atlantico in Europa, rappresentato dagli interessi di Inghilterra e Francia, rei di avere praticato una propria politica estera ed energetica nel mediterraneo. L’Italia, con più di 100 basi straniere sul proprio territorio, già impegnata in 37 missioni militari di cui 35 internazionali in 22 paesi, acconsente ad un aumento di spese militari per il valore di 7 miliardi per venire incontro alle richieste della NATO da sempre sotto esclusivo comando USA grazie anche a governi che si adeguano in scioltezza al comando USA di “portare la democrazia” in altri paesi, come nel caso di Iraq, Jugoslavia, Libia, ecc., con Parlamenti che non l’hanno mai fatta tanto difficile adeguandosi rapidamente e produttivamente alle direttive criminali imposte da chicchessia.
Tagliare drasticamente il numero dei parlamentari significa tagliare la rappresentanza del Popolo italiano in Parlamento e rendere sempre più agevole per i potentati economici e le lobby sovranazionali di qualsiasi natura, controllare le istituzioni e compromettere il processo democratico a loro esclusivo vantaggio.
(1) Le Commissioni hanno compiti in sede referente, deliberante, redigente e consultiva.
Senato
- 1ª Affari costituzionali
- 2ª Giustizia
- 3ª Affari esteri, emigrazione
- 4ª Difesa
- 5ª Bilancio
- 6ª Finanze e tesoro
- 7ª Istruzione pubblica, beni culturali
- 8ª Lavori pubblici, comunicazioni
- 9ª Agricoltura e produzione agroalimentare
- 10ª Industria, commercio, turismo
- 11ª Lavoro, previdenza sociale
- 12ª Igiene e sanità
- 13ª Territorio, ambiente, beni ambientali
- 14ªPolitiche dell’Unione europea
Camera
- 1ª Affari costituzionali, Presidenza del Consiglio e Interni
- 2ª Giustizia
- 3ª Affari esteri e comunitari
- 4ª Difesa
- 5ª Bilancio, tesoro e programmazione
- 6ª Finanze
- 7ª Cultura, scienza e istruzione
- 8ª Ambiente, territorio e lavori pubblici
- 9ª Trasporti, poste e telecomunicazioni
- 10ª Attività produttive, commercio e turismo
- 11ª Lavoro pubblico e privato
- 12ª Affari sociali
- 13ª Agricoltura
- 14ª Politiche dell’Unione Europea
(2) “Nel 2016, con l’allora governo di Matteo Renzi, ci eravamo battuti come Partito Democratico per un monocameralismo politico e penso che quella battaglia vada rilanciata. Ma quel referendum come è noto lo perdemmo e questo ha segnato l’inizio di un periodo di riforme spezzettate, come sostengono alcuni sostenitori della dottrina costituzionalista. Per quanto mi riguarda, una riforma più organica sarebbe da preferire. Ma ripeto, quel referendum del 2016 lo abbiamo perso e quindi più che di monocameralismo possiamo parlare ora di taglio dei parlamentari”. Stefano Ceccanti – Pd
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