Perché così tante persone partono dall’Africa?
Per comprendere una delle cause abbiamo tradotto per voi questo articolo di Raf Custers e Roman Gelin, pubblicato il 3 giugno 2015 sul sito internet belga
http://www.gresea.be/Congo-les-patrons-miniers-de-plus-en-plus-agressifs
La questione descritta è esemplificativa di come poche imprese multinazionali, nello specifico quelle che hanno il monopolio sulla commercializzazione delle risorse minerarie, magari con sede negli USA o in Svizzera, mettono sotto pressione i governi locali per massimizzare i loro profitti, dovendo rendere conto ai propri azionisti, incuranti delle conseguenze sulla popolazione locale e sull’ambiente.
Attualmente le industrie estrattive pagano al Congo il 2-2,5% di tassa sugli utili che realizzano esportando quelle materie prime sul mercato mondiale, ma ogni occasione è buona per tentare di ridurre queste già ridicole tasse.
I flussi di capitali sono negativi ovvero il Congo paga verso l’estero molto di più di quanto incassa dalle esportazioni di materie prime (la quasi totalità delle esportazioni).
Detto in maniera sintetica: è l’applicazione selvaggia del sistema economica neoliberista che impedisce lo sviluppo del paese e porta la gente a partire per cercare migliore fortuna.
Buona lettura.
Il regime delle miniere in Congo diventa draconiano.
E’ in questo stile minaccioso e poco propizio al compromesso che la Camera delle Miniere della Repubblica Democratica del Congo reitera la sua esigenza: il quadro dei regolamenti per le grandi miniere deve diventare sempre più lassista. Le imprese multinazionali portano a casa sempre maggiori profitti, senza fare maggiori investimenti.
Una vera e propria lotta dei grandi interessi economici è attualmente in corso in Congo. Da un lato ci sono le autyorità della Repubblica Democratica del Congo, dall’altro la Camera delle Miniere. Cosa c’è in gioco? Il quadro dei regolamenti, il Codice delle Miniere del 2002 in corso di revisione e ovviamente gli utili legati all’esportazione dei minerali.
Il codice garantisce che una parte degli utili dell’industria estrattiva (le miniere dei minerali) sia resa al Congo. Indica anche come le imprese minerarie possano operare. Il Codice in vigore, largamente ispirato dalla Banca Mondiale, era – tutti concordano- “liberale” e vantaggioso per i capitali privati. La migliore prova? I capitali stranieri hanno trovato con facilità la strada per il Congo, sotto forma di investimenti esteri diretti. La cosa non stupisce con dei canoni minerari che non superano il 2,5% per i metalli preziosi e il 2% per i minerali non ferrosi (fra i quali il rame e il cobalto) e con clausole che permettono “alle imprese di uscire liberamente dai quadri della legislazione nazionale, nei casi in cui i loro interessi finanziari lo giustifichino, per privilegiare una logica contrattuale ed ottenere le condizioni più favorevoli”. [1]
Ma il Codice delle Miniere prevedeva di dover essere rivisto entro i 10 anni. E proprio lì c’è stato un blocco. Il Congo vorrebbe aumentare quanto percepisce dalle estrazioni e dalle esportazioni delle ricchezze minerarie. Ma i grandi capitali stranieri non la vedono allo stesso modo. La disputa dura da quando la revisione del Codice è stata avviata.
Le lobbies delle miniere
Vi ricordate il nostro documentario “Avec le vent” [2] (Con il vento), realizzato nalla Repubblica Democratica del Congo a inizio 2013? Si poteva osservare il modo in cui i padroni intravedono il nuovo Codice delle Miniere, come ad esempio il sudafricano Mark Bristow della RandGold (di cui i grandi azionisti non sono degli industriali, ma dei finanzieri), non proprio favorevole al fatto che la sua impresa debba pagare delle tasse supplementari. Bristow, come tutti gli altri padroni “pro-miniere”, non moderava le parole. I loro propositi erano prossimi al ricatto. Due anni più tardi il grande capitale delle miniere intensifica la sua guerra verbale. I loro punti di vista e rivendicazioni sono annunciati dai padroni della Freeport McMoran (USA), Katanga Mining (filiale di Glencore, Svizzera) e Randgold; la Camera delle Miniere svolge per loro l’ufficio di porta parola.
La Camera ha appena pubblicato il suo primo rapporto trimestrale per l’anno 2015. Vi si legge quanto segue: “Le imprese riorienteranno i loro investimenti verso i paesi con i regimi fiscali più attrattivi, in questo momento in cui il regime del Congo diventa più draconiano. [3] Questa è una distorsione di ciò che avviene nel settore estrattivo mondiale.
Questo settore è vittima della crisi economica che non cessa di colpire il mondo industrializzato. La domanda di minerali diminuisce e questo può essere largamente spiegato dal rallentamento della crescita cinese. Ma l’oligarchia delle industrie estrattive non ha ridotto per questo le proprie capacità, anzi il contrario. Lo si vede per le capacità produttive di petrolio e di gas, in continuo aumento malgrado la crisi. Lo si vede anche per le capacità produttive dei minerali metallici, come il ferro, il rame e l’oro.
I livelli di produzione sono decisi dalle maggiori imprese, da cui l’utilizzo della qualifica di “oligarchia”. Sono loro a inondare un mercato già saturo. Non ha quindi nulla di sorprendente che i prezzi delle materie prime di base scendano e che i margini di profitto delle imprese si riducano. Le grandi imprese cercano di ripercuotere questa situazione temporaneamente svantaggiosa per loro sui paesi nei quali operano. E’ proprio questo il fondamento della guerra di nervi in Congo.
Davvero c’è un rallentamento?
“Tutte le grandi imprese minerarie rallentano”, scrive ancora la Camera delle Miniere.
Esaminiamo le cifre della Camera delle Miniere per verificare questa affermazione. Tutte le produzioni, tranne quella di cobalto e di cassiterite, sono aumentate in Congo durante il primo trimestre.
Ecco la tabella delle percentuali che mostrano il differenziale fra il primo trimestre del 2014 e quello del 2015:
Diff. 2015/14 |
|
Rame |
3,20% |
Cobalto |
-2,60% |
Zinco |
4,70% |
Oro |
31,20% |
Coltan |
33,80% |
Wolframite |
16,00% |
Cassiterite |
-15,10% |
Fonte: Camera delle Miniere del Congo, 1° trimestre 2015
Ma la tesi che “tutto rallenta” non regge più quando si guarda alla produzione per l’intero anno 2014 in rapporto al 2013. [4]
Produzione del 2014 in rapporto al 2013
Unità |
Prod 2014 |
Prod 2013 |
Diff. 2014/13 |
|
Rame |
Tonnellate |
1’029’800 |
914’631 |
12.6 |
Cobalto |
Tonnellate |
66’915 |
58’792 |
13.8 |
Zinco |
Tonnellate |
14’584 |
12’806 |
13.9 |
Oro |
kg |
19’568 |
6’149 |
218.2 |
Diamanti |
k-carati |
/ |
17’799 |
/ |
Coltan |
Tonnellate |
1’324 |
697 |
90 |
Wolframite |
Tonnellate |
25 |
115 |
-78.3 |
Cassiterite |
Tonnellate |
10’756 |
7’567 |
42.1 |
Fonte: Camera delle Miniere del Congo, rapporto annuale 2014
Il Congo oggi produce oltre un milione di tonnellate di rame all’anno, un livello mai raggiunto prima. La produzione massima di rame in Congo la si aveva avuta negli anni 1980, all’apogeo della società GECAMINES: circa 500 mila tonnellate prodotte all’anno ovvero meno della metà della produzione attuale. Il paese, che detiene le più grandi riserve, resta il più grande produttore di cobalto. Non senza difficoltà, come l’arresto di produzione di diamanti sembra dimostrare. Ma l’aumento complessivo di produzione è innegabile. Le esportazioni crescono ad un ritmo sostenuto e la quasi totalità dei minerali è esportata.
Se delle imprese rallentano il loro ritmo di produzione è perché vi sono costrette dal rallentamento economico mondiale e dal calo dei prezzi delle materie prime sui mercati mondiali. In questo contesto le imprese temono che i loro utili vengano messi sotto pressione.
Per questa ragione la Camera delle Miniere ammette che la revisione del Codice delle Miniere “non potrebbe arrivare al momento peggiore”. La Camera evoca allora l’esperienza dello Zambia, paese confinante con la provincia congolese del Katanga e che condivide il bacino delle risorse di rame. “Guardate che cosa ha ottenuto lo Zambia con i loro voltafaccia”, scrive la Camera, “blocchi dei programmi di esplorazione, disoccupazione di massa, minacce di chiusure delle miniere ed un impatto maggiore sui subappaltatori”. Tuttavia, per fortuna, lo Zambia ha saputo imparare dai propri errori e nel mese di aprile del 2014 il governdo del paese ha ripristinato gli aumenti delle tasse sulla produzione mineraria che aveva imposto nel dicembre scorso. [5] Il messaggio è chiaro: che anche il governo del Congo abbia la stessa chiarezza di visione del vicino Zambia.
Investimenti stranieri diretti contro il rimpatriamento dei profitti
Un nuovo elemento dovrebbe perturbare le suppliche della Camera delle Miniere consolese. Le finanze pubbliche del Congo et il suo benessere dipendono oltremisura dall’esportazione delle materie prime. La Camera delle Moniere non perde occasione per accentuare il contributo del settore estrattivo (miniere ed idrocarburi) al bilancio congolese: “Il 64% delle entrate ordinarie dello Stato; 1,5 miliardi di dollari incassati nel 2012, di cui oltre un miliardo pagato dalle società minerarie e 460 milioni dalle imprese petrolifere”
Impressionante? Per nulla, se paragoniamo le “entrate ordinarie” (e straodinarie) delle imprese. Su questo punto la Camera non dice nulla. Qual è allora questo elemento perturbatore?
La risposta si trova in un rapporto del Fondo Monetario Internazionale, recentemente reso pubblico dal professor Stefaan Marysse dell’Università di Anversa. In un contributo all’Annuario Congiunturale congolese del 2014 Marysse scrive che “i profitti rimpatriati ora superano le antrate di capitali”. Questo grazie al Codice delle Miniere del 2002 ed ai contratti minerari considerati come “molto liberali per quanto riguarda il rimpatriamento dei profitti” [6] Basandosi su delle statistiche del Fondo Monetario Internazionale [7] Stefaan Marysse scrive questo: ” Se fino al 2012 gli investimenti stranieri diretti (IDE) costituivano un apporto netto di capitali per la Repubblica Democratica del Congo, dal 2013 i profitti rimpatriati verso soggetti esteri superano le entrate di nuovi capitali. Le proiezioni sono tali che alla fine del decennio (2019) questi profitti dovrebbero essere da 3 a 3,5 volte superiori: 2 miliardi di entrate IDE e 7 miliardi di dollari di profitti rimpatriati”. [8]
Questa tendenza lascerà a termine il Congo senza minerali (trattandosi di risorse non rinnovabili e disponibili in quantità finite) e senza capitali.
Chi potrebbe allora pretendere che la Repubblica Democratica del Congo non abbia legittimità a trarre oggi dei profitti dalle proprie risorse naturali?
Per concludere: nel 2008 il Congo rinegoziava con le imprese minerarie una sessantina di contratti minerari per renderli più vantaggiosi per il paese. Ma alla fine dell’anno scoppiava la crisi economica mondiale. L’impatto fu immediato per il Congo. Le impresem minerarie hanno utilizzato questo pretesto per esercitare delle pressioni sulle autorità congolesi ed è lo stesso tipo di atteggiamento che stanno utilizzando oggi. Nulla di nuovo sotto il sole, a meno che il Congo non riesca questa volta a tirare la barra dalla propria parte.
[1] Marie Mazalto, « Gouvernance du secteur minier et enjeu de développement en République Démocratique du Congo », 2010, P.128
[2] Disponible en streaming ici : https://vimeo.com/118502829
[3] 2015 First Quarter Report, Chamber of Mines of the DRC, mai 2015, p.2.
[4] Rapport annuel 2014, Chambre des Mines/Fédération des entreprises du Congo, février 2015.
[5] FEC warns about following Zambia’s path, Africa Mining Intelligence, 26 mai 2015.
[6] Entre 2008 et 2013, les sommes rapatriées illégalement du seul Katanga étaient estimées 3,7 milliards de dollars. Gresea, Newsflash : “3,7 milliards de dollars « évaporés » au Katanga ». Février 2014. http://bit.ly/1FtEsOs
[7] Democratic Republic of the Congo : 2014 Article IV Consultation-Staff Report ; Press Release ; and Statement by the Executive Director for the Democratic Republic of the Congo, Fonds monétaire internationale, 30 septembre 2014. Le texte se trouve ici : http://bit.ly/1Gk2tNO
[8] Marysse, Stefaan, art Croissance cloisonnée : note sur l’extraversion économique en RDC, in Conjonctures congolaises 2014, p.34, L’Harmattan, Paris, 2015.
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