Oggi vediamo il senso che distinguerebbe il “partito ideale” e prendiamo in esame due questioni cruciali che possono determinare la riuscita del progetto ed il prosieguo dell’attività politica: “democratismo” e trasparenza
Eccoci al quarto appuntamento del percorso che ci porterà a capire come, a mio parere, si possa costruire un partito “ideale”.
Mi occorre fare una premessa, ovvia quanto doverosa: la mia non è una pretesa di definire una materia assai complessa come questa, tante sono le conoscenze politiche, storiche, “sociologiche” e giuridiche in gioco; qualsiasi tentativo di risolvere in modo definitivo ed in pochi articoli la questione sarebbe da considerarsi velleitario.
Il mio intento, che ritengo comunque legittimo, è quello di rimanere su di un piano ideale, ma anche operativo, in grado però di fornire stimoli e linee guida di “buon senso” utili a sostenere la necessità, non più prorogabile, di pensare una struttura politica adatta alle enormi sfide del presente; sempre conscio che poi, all’atto pratico, tante altre competenze dovranno necessariamente sostenere quanto andrò qui a delineare.
Credo che i primi tre articoli di questa serie siano già sufficienti a capire come l’esigenza di un nuovo e diverso partito sia non più eludibile.
Nel primo articolo presentavo le ragioni che mi portano a scrivere questa nuova serie, nel secondo mi sono occupato di alcune comuni obiezioni relative alla “necessità” dell’ennesimo partito, oltre ad affrontare brevemente due contraddizioni fondamentali della nostra democrazia; nel terzo articolo ho cercato di spiegare quale dovrebbe essere l’intenzione di una politica che vuole rinnovarsi: quella di assumere la necessaria responsabilità derivante dal fatto che se vogliamo una vera democrazia che funzioni, si dovrà ammettere come solo la sfera della politica debba occuparsi di tutti gli ambiti del vivere e della socialità, in relazione ai diritti delle persone, senza delegare l’ultima parola a “determinazioni” esterne.
Questo per un “semplice” motivo: se la politica è “debole” culturalmente e metodologicamente, proprio come accade ora, la società civile vedrà scavalcati i suoi interessi da quelli appartenenti a “consorterie corporative” di vario tipo, in primis tecnocratiche, militari e finanziarie.
Occorre quindi che la politica, per essere credibile, torni a pensare allo Stato di diritto come un ideale realmente “vivo”, una funzione amministrativa dalla parte dei cittadini che ne sono componenti.
Ecco allora mostrarsi, in tutta la sua necessità, quel senso necessario all’istituzione di un partito che si possa chiamare “ideale”, che avevo subito ravvisato sin dal principio del primo articolo in cui delineavo il proposito fondamentale: rinnovare l’organizzazione della politica, lo Stato di diritto ed il rapporto Stato-cittadino nel segno dei diritti umani.
Se non vogliamo fermarci agli ideali, ma far sì che questi rappresentino la carne viva dell’azione politica, non abbiamo altra scelta: il “partito ideale” deve rappresentare, in piccolo, uno Stato di diritto perfettamente funzionante, in grado di rappresentare ed assolvere tutte le istanze e le funzioni che oggi, con tutta evidenza, lo stesso Stato non riesce più a svolgere.
Solo così abbiamo una vera chance di determinare una politica veramente alternativa: occorre mostrare ai cittadini, pur nelle ovvie differenze di possibilità operativa fra Stato e partito, come potrebbe essere una struttura sociale “razionale”, aperta e trasparente, capace di rappresentare il senso ed i valori di una comunità responsabile che intende amministrarsi con la più alta concezione del diritto stesso.
In ragione di quanto appena affermato, vediamo immediatamente come la politica del nuovo partito debba procedere in maniera eticamente e socialmente responsabile, condivisa e, come affermavo nel terzo articolo, necessariamente “trasparente”.
Proprio nella trasparenza abbiamo quindi uno degli inevitabili focus di questo articolo: se la vecchia politica è tutto fuorché trasparente, capiamo immediatamente che la “nuova politica”, impersonata da un partito ideale, debba essere limpida e cristallina, trasparente e chiara in ogni ambito, sia ideale, sia operativo e decisionale.
Mi rendo perfettamente conto che l’obiettivo della trasparenza, della “leggibilità” delle sue determinazioni, della coerenza su ideali, scopi e promesse è forse il terreno più sdrucciolevole per la politica, difficile da attuare anche in presenza di buona volontà ed assenza di interessi “altri” e “particolari”.
Questo per vari motivi, compreso quello dovuto al particolarissimo momento storico che stiamo vivendo, in cui esponenti politici saldamente ancorati ad impianti ideologici ben precisi, “sfumano” la loro posizione per ragioni di ordine tattico.
Oltre a ciò, a volte i tatticismi sottendono considerazioni di “convenienza” da parte di attivisti che, nel tempo, finiscono per perdere slancio e idealità restringendo gli obiettivi ad un “progresso” personale nell’ambito in cui, del resto, hanno investito tante energie e tempo, spesso anche denari.
Il tema trasparenza e coerenza è quindi “caldo” e va affrontato in tutti i suoi risvolti, spesso lontani dagli ideali, più spesso vicini al “sangue e merda” di “formichiana” memoria.
Dobbiamo anche ammettere che la trasparenza può a volte venir meno, causando qualche problema, anche per motivi pratici ed organizzativi, per necessità operative e decisionali che non lasciano il tempo ad una condivisione informata e discussa: questo può accadere soprattutto nel periodo iniziale del partito, che deve avere il tempo di “oliare” meccanismi e procedure.
A questo punto credo occorra essere chiari, oltre a quanto appena detto, riguardo l’annosa questione “democrazia diretta”: un concetto ed una prassi che può contenere alcuni rischi e rappresentare un problema, proprio quando pretende essere panacea di tutti i mali.
Dato per certo che democrazia va a braccetto con trasparenza, occorre anche capire ciò che spesso si verifica in gruppi e movimenti, soprattutto nella fase iniziale: lo spirito democratico, l’ardore del momento creativo possono finire in mano ad un “democratismo” che diventa nemico, proprio perché si è nel periodo formativo, del necessario consolidamento; le energie si possono disperdere dietro i più svariati temi e discussioni, ed in prassi collegiali di poco costrutto e molta dispersione.
Può insomma diventar difficile coagulare una prima fase formativa, data la varietà degli input, degli orizzonti speculativi e l’oggettiva enormità delle urgenze democratiche oggi sul tappeto.
Di contro, si può eccedere in senso opposto, cioè formare un movimento o partito assai ristretto negli obiettivi, tale da porsi, giocoforza, come una fazione “buona”, tutt’al più, per posizionarsi in una ben precisa “area” politica e diventare nel tempo un sostegno, più o meno palese, di una formazione più grande e già “dentro il sistema”.
Come stiamo vedendo, e senza allargare troppo lo sguardo alle mille problematicità che, come affermavo all’inizio meriterebbero ben più di qualche articolo, la fase creativa è delicatissima: si possono compiere errori fondamentali, nei modi più svariati, tali da mandare tutto all’aria in men che non si dica o determinare un periodo, anche lungo, in cui ci si trascina con alti e bassi; una situazione per niente appagante per chi ci mette anima, cuore e tempo.
Quello che mi appresto a dire forse farà storcere la bocca a qualcuno, che però inviterei alla riflessione, anche perché credo sia ora di mettere realmente sul tappeto trasparenza e democrazia, ma in modo che risultino funzionali e creative.
Quanto sin qui espresso credo mostri una prima necessità: la formazione di un nuovo partito deve essere, necessariamente, una questione un po’ ristretta, al massimo qualche decina di persone, e son già tante, che devono però subito organizzarsi e dividersi i compiti.
Questo in ragione del fatto che, come per tutte le “costruzioni”, non si possono avere tanti ingegneri con idee diverse, altrimenti la casa verrebbe sbilenca, incoerente, forse non abitabile.
Una caratteristica essenziale di queste persone dovrebbe essere, oltre a quanto possiamo immaginare in termini di serietà, impegno, consapevolezza, cultura ecc., quella di poter mettere nel progetto tutto il tempo necessario: non si costruisce un partito che si voglia far crescere e funzionare veramente con una o due riunioni alla settimana, magari alla fine di stressanti giornate di lavoro.
Questo nucleo iniziale, o almeno una sua parte consistente, deve quindi poter dedicare il tempo necessario al progetto, pena la dispersione del momento creativo e degli sforzi di tutti.
Il nucleo promotore ha la responsabilità di stilare un manifesto politico che, partendo da un’analisi sintetica ma efficace della situazione, possa indicare la rotta del partito, i “mezzi intellettuali” che ritiene adatti ed il funzionamento del suo procedere nel viaggio.
Al manifesto andrebbe perciò affiancato un documento operativo, che delinei esattamente gli ambiti di attività del partito, il suo organigramma, le strutture ed il funzionamento interno ed esterno di tutto l’apparato.
Credo che in questo modo si possa iniziare a fare della trasparenza un metodo con cui non solo si piantino le basi, ma si prevedano tutti i risvolti operativi anche relativi ad eventuali intese con altri soggetti, di qualsiasi tipo.
Sempre in tema trasparenza: il documento operativo dovrebbe anche indicare le modalità di finanziamento ed accettazione delle eventuali donazioni da terzi, da rendere rigorosamente pubbliche.
A casa delineata e costruita, almeno nelle fondamenta e struttura, dovrebbe entrare in scena la democrazia: il partito sarebbe aperto a tutti quelli che ne condividessero ideali e funzionamento, ed ognuno potrà avere il ruolo che saprà meritarsi e sul quale dimostrerà impegno e condivisione, trovando già delineate strutture e funzionamento delle stesse.
Una particolare “forma” di trasparenza potrebbe essere quella di dotarsi di strumenti informatici tali da mostrare l’aggiornamento progressivo dei vari lavori, studi ed attività, contemplando uno spazio, per ciascuno di questi ambiti, in cui si possano accettare, discutere e valutare contributi e idee di chi si unisce al progetto.
Se il partito vuole veramente distinguersi dagli altri, nei fatti, deve fare in modo che ogni carica, attività, discussione, espressione e determinazione politica, di qualsiasi tipo, nasca e si sviluppi con procedure di assoluta limpidezza, interna ed esterna.
Quanto prima espresso in relazione al “senso” del nuovo partito, trova nella trasparenza il fattore determinante la sua peculiarità, in ogni momento: a partire dal rapporto fra gli “ingegneri” della fase costruttiva, quindi verso il pubblico, compatibilmente con le necessarie riservatezze della fase istitutiva, certamente dal consolidamento successivo in poi.
Troppo spesso vediamo che i partiti, ma tutta la politica in generale, si trovano a subire in un batter d’occhio personaggi, parole d’ordine, procedure, obiettivi e narrazioni calate dall’“alto”, talmente importanti da trasformare il carattere e la funzione stessa della vita politica del Paese e delle sue istituzioni.
Un partito “ideale” non può indugiare in pratiche non limpide, di qualsiasi tipo.
Giunti a questo punto, penso che le fondamenta ideali ed operative del “partito ideale” siano abbastanza chiare; nel prossimo articolo inizieremo a vedere quali sono gli esatti ambiti che il suo funzionamento dovrà prendere in considerazione.
Ogni suggerimento è ben accetto, buona riflessione.
https://www.massimofranceschiniblog.it/, 10 maggio 2020
qui un primo articolo in cui svolgo considerazioni in ordine alla politica ed all’impegno politico
qui spiego quelle che per me sono le tre principali necessità se si vuole costruire una vera politica alternativa
qui il mio libro, un programma politico ispirato ai diritti umani
fonte immagine: Wikimedia Commons
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