Ceauşescu sì che sapeva risolvere il problema del debito

L’uomo politico che più efficacemente di tutti ha risolto il problema del debito pubblico (quasi tutto estero) è stato il dittatore romeno Nicolae Ceaușescu. In meno di otto anni, a tappe forzate, lo ha completamente cancellato. Dodici miliardi di dollari restituiti prima del tempo e ad ogni cost...




Cosa abbia prevalso forse non lo si saprà mai. Ma se contro le regole della grande finanza internazionale l’abbia avuta vinta il senso pratico del contadino romeno o la diffidenza ideologica dell’applicatore di teorie socialiste, poco cambia. Fatto sta che Nicolae Ceaușescu, nel 1981, di debito pubblico non volle più sentirne parlare. Si trattava allora di 12 miliardi di dollari (21 dal 1975). E visto che il governo comunista certo non invitava i cittadini al risparmio privato e non emetteva bot o cct e aveva regole interne tutte sue, era quasi in toto debito estero. In gran parte verso i Paesi occidentali, Stati Uniti in primis, che avevano colto al balzo certe freddezze di Bucarest nei confronti dell’Urss per cercare di accaparrarsi con ricchi prestiti un amico oltrecortina. Il Conducător dette un ordine perentorio: il debito andava cancellato, a ogni costo.
Iniziarono così i giorni più duri per la popolazione romena. Subito fu razionata la benzina. Ma in pochi avevano la macchina e il risparmio non era consistente. Allora si razionarono energia elettrica e riscaldamento, anche nei più freddi mesi invernali. Ogni lunedì c’era una riunione per fare il punto di quanto debito pubblico fosse stato rimborsato (si arrivò a 400 milioni di dollari ogni sette giorni). A quei vertici erano presenti il dittatore, con le sue scarse competenze economiche e tutta la sua testardaggine, il governatore della Banca Nazionale Romena, il ministro delle Finanze e il presidente della banca Romena per il Commercio Estero. Le importazioni furono vietate e gran parte di quello che veniva prodotto in Romania (automobili, alimenti, prodotti industriali) doveva essere esportato per far cassa.
Si iniziarono a razionare i generi alimentati, prima la carne, poi addirittura il pane, l’olio, il latte. Venne il periodo delle interminabili code. Fino a cinque ore per l’unica cosa quasi sempre disponibile: i generi di scarto. In particolare teste di pecora e zampe di maiale, che all’estero non avevano mercato. Proprio gli zampini furono ribattezzati «i patrioti» perché erano l’unica cosa a non lasciare il Paese. Il caffè divenne un genere di lusso. Come scriveva la Reuters nel 1988, «un giornalista occidentale, intervistando alcuni camionisti, ha appreso che le prostitute sono contente di farsi pagare in caffè. Le tariffe? Una notte per 250 grammi di buon macinato».

E pensare che i tempi di massimo debito pubblico erano stati anche quelli del maggiore sviluppo economico. In particolare nel decennio 1965-1975 i negozi erano ben forniti, gli stipendi aumentavano. L’industrializzazione del Paese aveva migliorato le condizioni generali della popolazione. Grazie ai prestiti dall’estero era iniziata la costruzione di infrastrutture, di una centrale nucleare, del canale Danubio-Mar Nero. Il costo della manodopera era molto contenuto, visto l’uso massiccio di prigionieri politici. E il ricambio di forza lavoro era continuo. E non per la flessibilità. Il motivo era un altro, tanto che, per esempio, proprio quel canale è stato ribattezzato «della morte».

Quando il 31 marzo del 1989 Ceauşescu annunciò l’estinzione totale del debito fu applaudito a lungo. In quell’occasione annunciò anche che gli investimenti delle aziende straniere, che fino ad allora per legge non potevano superare il 49% delle azioni nella proprietà delle imprese romene, non sarebbero più stati accettati. Si venne poi a sapere che nella corsa all’estinzione del debito erano state vendute 80 tonnellate sulle cento delle riserve auree (20 furono però riacquistate nel 1989). Florea Dumitrescu, che allora era a capo della Banca Nazionale Romena, ha raccontato che nel corso degli anni Ottanta più volte il dittatore voleva sbarazzarsi in un’unica tranche dell’oro, tanto era ossessionato dall’idea di rimborsare il debito subito. A fatica riuscirono a convincerlo che il mercato era troppo sensibile, e che le vendite andavano scaglionate se si voleva mantenere un livello accettabile del prezzo.

Lo sforzo per annullare il debito pubblico fu particolarmente inutile e controproducente. Bloccò ogni innovazione, condannando l’industria romena a rimanere la più arretrata tra quelle già non in robusta salute dell’Est comunista. E il Paese ricevette 15 anni di sanzione dal Fondo Monetario Internazionale per aver violato le regole con una restituzione prima della scadenza (e conseguente necessità di ristrutturazione del piano degli interessi). A metà del 1987 intervenne anche la Bri (la Bank for International Settlements di Basilea, che regola gli investimenti internazionali). Chiese a Bucarest di utilizzare i 5 miliardi di debito che rimanevano per nuovi investimenti tecnologici. Ma il dittatore non ci volle sentire e chiese nuovi sacrifici al suo popolo.

Quando nel 1989 annunciò che la grande corsa era finita e il debito totalmente ripagato, gli operai e i contadini credettero di poter tirare un sospiro di sollievo. Invece dovevano ancora tirare la cinghia. Pochi giorni dopo Ceaușescu disse che l’austerità continuava, anche se un po’ alleggerita: «Con le nuove norme ogni cittadino può tenere accesa una lampadina da 40 watt dieci minuti in più al giorno, fino a tre ore su 24». Frigoriferi ed elettromestici rimasero al bando. L’acqua calda fu consentita per un massimo di quattro ore al giorno e solo nei mesi più freddi. La chiusura dei ristoranti rimase fissata alle 21, quella dei negozi alle 17.30. «Ma», disse ancora Ceaușescu, in uno dei suoi ultimi discorsi, «l’obiettivo è stato raggiunto. Il debito estero è stato rimborsato interamente e la Romania non accumulerà mai più debito pubblico.Vi prometto che, dal 2000 in poi, il socialismo vi darà migliori condizioni di vita e di lavoro».

Tratto da:
http://www.linkiesta.it/it/article/2011/08/11/ceausescu-si-che-sapeva-risolvere-il-problema-del-debito/6576/

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