L’economista Marco Cattaneo spiega chiaramente come l’UNICA CONDIZIONE che possa causare l’impossibilità di onorare il Debito Pubblico sia quando tale debito è denominato in una valuta non sovrana (estera). Questo in quanto uno stato in grado di emettere la propria valuta potrà sempre emetterne in quantità necessaria ad onorare il debito.
di Marco Cattaneo
Il primo concetto da chiarire è che il debito pubblico può essere espresso in moneta nazionale, oppure in moneta estera.
Nel primo caso, la capacità di emissione dello Stato gli permette sempre di evitare il default sul debito. In effetti lo Stato non si sta indebitando: sta raccogliendo depositi, con un vincolo di scadenza, presso il suo ministero dell’economia.
L’elemento di preoccupazione principale che può insorgere, in questo caso, non è l’insolvenza ma l’eventuale creazione di un eccesso di domanda (nell’ambito dell’economia) che spinge l’inflazione a livelli indesiderati.
In casi estremi, è possibile che uno Stato attui un default volontario su debito in moneta propria, a causa dell’incapacità di venire a capo di un grave eccesso di inflazione.
Ma questo non è assolutamente il problema odierno dell’Italia. L’economia italiana soffre, invece, di una pesantissima insufficienza di domanda, che comporta disoccupazione e sottoccupazione massiccia, sottoutilizzo della capacità produttiva delle aziende, disincentivo a investire, e inflazione troppo bassa (non troppo alta).
In Italia il debito pubblico è un problema perché è stato commesso gravissimo errore di convertirlo in una moneta – l’euro – che l’Italia non emette.
In questa situazione, esiste un concreto rischio di insolvenza.
Ma il rischio d’insolvenza non sparisce se il debito inizia a diminuire, in percentuale rispetto al PIL, rispetto all’attuale 130%. Il rischio default si è manifestato (Irlanda, Spagna nel 2011: debito in euro) o concretizzato (Argentina nel 2001: debito in dollari) anche in paesi dove il rapporto debito pubblico / PIL era al 30-40%.
Se il debito è espresso in moneta estera, non garantito da un ente con potestà di emissione di quella moneta, l’unico livello che garantisce contro il rischio di insolvenza è zero.
E il debito pubblico italiano non può essere portato a zero – ma neanche ridotto in misura significativa rispetto al PIL – adottando politiche che costringono il paese a crescite asfittiche e a soffrire di altissimi livelli di disoccupazione e sottoccupazione.
In questa situazione, il problema non verrà risolto per i prossimi svariati decenni. E il paese continuerà a stagnare economicamente su livelli di attività economica depressa. Non verrà risolto il pesantissimo disagio sociale né la situazione di indigenza in cui si è venuta a trovare una larghissima parte della popolazione.
Il problema è invece risolvibile in due modi.
Il primo è la ridenominazione del debito, da euro in moneta nazionale. In pratica, si parla dell’uscita dall’euro mediante breakup. E’ una via complessa operativamente e controversa politicamente.
Il secondo è stabilizzare il debito ai livelli attuali (in valore assoluto) introducendo nell’economia uno strumento finanziario-fiscale che possa anche svolgere funzioni monetarie, in affiancamento all’euro.
Questo strumento, di cui i CCF sono la modalità tecnica che propongo da svariati anni, non è debito, e non possono crearsi situazioni di mercato finanziario che forzino l’emittente al default.
La forma e la sostanza del Fiscal Compact risultano in tal modo rispettate, perché il debito cessa di aumentare in valore e inizia a scendere rapidamente in rapporto al PIL.
Il whatever it takes della BCE è l’elemento chiave di rassicurazione (dal punto di vista dei mercati) che non si verificheranno tensioni finanziarie, né rischi di default sullo stock di debito che rimane in essere.
Nel frattempo, la discesa del rapporto debito pubblico / PIL è assicurata dal fatto che l’immissione di CCF nell’economia incrementa la domanda interna e migliora la competitività delle aziende, creando le condizioni per una rapida e vigorosa ripresa.
Tratto da:
https://bastaconleurocrisi.blogspot.it/2018/01/cosa-rispondere-chi-si-lamenta-dellalto.html?m=0
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