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La nuova politica deve comprendere la vera posta in gioco
Ritengo ormai da molti anni che le ideologie e le categorie novecentesche siano insufficienti e devianti per la nuova politica che reputo necessaria.
L’insufficienza risiede, a mio modo di vedere, nel fatto che tali ideologie si basano, in buona sostanza, su lotte “di classe” o su “conservazioni” di situazioni che le lotte di classe miravano a ribaltare, o su restaurazioni di passati ormai bocciati dalla storia.
Una causa di questa insufficienza è certamente l’evoluzione dei rapporti sociali, dovuta alla tecnologia, che da un lato ha “fluidificato” le relazioni umane ed i rapporti fra le “classi sociali”, dall’altro ha modificato grandemente i rapporti fra élite e governati: quel che resta delle classi sociali è ormai subalterno ad una cerchia di soggetti, sempre più ristretta.
Questo processo ha fatto sì che le “classi sociali” siano sempre meno dissimili fra loro: in parte anche nelle “prerogative” socio-economiche, data la crisi della “classe media”, certamente nel modo di pensare, negli obiettivi, nei sogni.
Aldilà della condizione economica, il disoccupato di oggi può non essere così dissimile dall’imprenditore di successo, culturalmente, nel suo essere e nelle aspirazioni; una differenza molto meno marcata rispetto a quella che potevamo registrare fra un proletario ottocentesco ed un “aristocratico”, oppure ad un “padrone”.
Lo stesso “imprenditore di successo” è oggi molto meno al sicuro di un tempo: il mercato su cui opera è soggetto a variabili che solo qualche decina di anni fa erano impensabili, dovute in primis alla finanza, che ormai da troppo tempo straccia nettamente il Pil dell’economia sana, della produzione reale di beni e servizi.
Tutte le altre variabili economiche dipendono dalla presenza della finanza e dai tentativi della politica di “convivere” con la stessa: tramite l’enorme tassazione delle economie per pagare gli interessi sui debiti sovrani, con il regalo alla finanza stessa dell’emissione monetaria delle banche private, liberalizzando-privatizzando ogni ambito socio-economico, demolendo i residui “intralci” alle élite dovuti a quel che rimane dello Stato di diritto e delle costituzioni.
La globalità di questi cambiamenti, tutte le rivoluzioni della modernità, come già detto, sono permesse dalla tecnologia, un fattore talmente pervasivo che dovrebbe essere uno dei primi argomenti della politica, sicuramente di una politica che intenda cambiare veramente il sistema.
Si impongono delle ampie riflessioni sul tema, che vorrei far girare attorno a due recenti articoli apparsi sulla stampa.
Il Primo è sull’inserto del Corriere della Sera “La Lettura” del 27 gennaio, a firma Nuccio Ordine, dal titolo: “L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE? NON È INTELLIGENTE. Marc Mézard è un fisico, studioso delle reti neurali, direttore dell’École Normale Supérieure di Parigi. Sullo sviluppo dei robot ha un’idea chiara, né facilmente trionfalistica (ci renderanno liberi) né spaventosamente catastrofista (ci annienteranno). Ma… ‘Il fatto è che non sono capaci di dare vita a processi creativi. Per esempio: sanno riconoscere un cartello stradale di Stop, però se quel cartello è appena alterato non lo riconoscono più’”.
Ho riportato l’intero sottotitolo perché già sintesi della direzione dell’intervista e di alcune tematiche.
Aldilà della fascinazione che si potrebbe avere sulla questione se i robot e le intelligenze artificiali siano veramente intelligenti e sulle problematiche relative alla costruzione di robot che almeno non facciano danni (“Noi, al momento, non sappiamo bene che cosa accada nelle reti neurali profonde”) , il Mézard mette subito in chiaro i pericoli “politici”:
“… Si pensi alla terrificante prospettiva della costruzione di robot guerrieri in grado di compiere scelte autonome. O, cosa altrettanto grave e di cui abbiamo già eloquenti esempi, dello sviluppo di algoritmi in grado di registrare ogni nostra azione e di sorvegliarci in ogni istante della giornata (una specie di “grande fratello” al servizio degli interessi di lobby politiche e commerciali e di regimi totalitari). Per questi motivi, credo sia necessario creare comitati etici per studiare norme e leggi a tutela della libertà degli individui e, nello stesso tempo, tracciare limiti invalicabili nell’interesse generale dell’umanità”.
Nell’articolo si parla anche di risvolti positivi per queste tecnologie, ad esempio in medicina e in altri campi, ma la questione politico-strategica credo sia più rilevante, come osserva lo stesso Mézard:
“La corsa per diventare leader nel futuro è già stata lanciata. La statunitense Darpa (l’agenzia del dipartimento della Difesa di Washington che sviluppa tecnologie militari) ha finanziato un programma di due miliardi di dollari, mentre la Cina sta investendo cifre ancora più ingenti nel suo nuovo centro di tecnologia di Pechino. Sempre negli Usa e in Cina operano i due grandi gruppi di multinazionali – Gafam (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft) e Batx (Baidu, Alibaba, Tencent, Xiaomi) – che hanno destinato decine di migliaia di dollari allo sviluppo di questo settore. Si corre il grande rischio di monopolizzare la ricerca”.
Questo è il grande problema che investe il futuro dell’umanità.
Il Mézard affronta anche altre tematiche relativa all’intelligenza artificiale, che possiamo sintetizzare così:
“La nostra incomprensione di come l’informazione funziona in queste reti neurali profonde investe la nozione stessa di ‘intelligenza’. Questi nuovi algoritmi, infatti, per quanto siano performanti in sé stessi, sono molto lontani da avere comportamenti veramente ‘intelligenti’. Riescono a rispondere a funzioni ben precise, ma caratterizzate da risposte semplici all’interno di un quadro definito. Sono utili, dunque. Però non riescono ancora a costruire una rappresentazione del mondo o a formulare ragionamenti creativi. Ecco una questione decisiva … l’intelligenza artificiale rappresenta certamente una sfida tecnologica importantissima. Nuove macchine saranno capaci di prendere decisioni e di aiutarci a farlo. E saranno necessarie una serie di nuove regole per controllarne la funzione. La loro esistenza influenzerà la nostra vita nel bene e nel male. Ma – e questo mi pare essenziale – sarà difficile che possano essere considerate ‘intelligenti’”.
E meno male, dico io, perché credo basti l’“intelligenza” dell’uomo a darci seri grattacapi, se non sorretta dalla necessaria etica.
Infatti possiamo già vedere il “grande fratello” cui accennava Mézard, del quale si parla già da un po’, in azione proprio in Cina nel racconto di Guido Santevecchi sulle pagine del Corriere della Sera del giorno prima, 26 gennaio, in un articolo intitolato: “IL GRANDE FRATELLO ABITA IN CINA. Pechino sta sviluppando una rete di sorveglianza per classificare i cittadini. Tra i progetti pilota l’app che scova i truffatori”.
Riporto dei terribili stralci.
“In gergo si chiama ‘mappa dei laolai’ … ‘scrocconi’ … i debitori che non saldano i conti e per denunciarli l’Alta Corte dello Hebei ha lanciato sul grande social network WeChat, un’app che permette a ogni bravo cittadino e a ogni commerciante di rintracciare i truffatori potenziali nel raggio di 500 metri”.
Sullo smartphone appaiono “… icone di individui che in passato hanno comperato senza pagarli beni di consumo e servizi. Si clicca sull’icona e compaiono nome, cognome, numero di carta d’identità del soggetto inaffidabile. A questo punto lo si può segnalare, suggerisce l’Alta Corte dello Hebei, un cui portavoce ha detto al quotidiano statale China Daily: ‘Lo sviluppo di questa app contribuisce a realizzare la connessione e la condivisione di informazioni sui debitori insolventi e crea una cornice di onestà sociale all’interno della quale chi ha perso la credibilità troverà difficile muoversi’”.
In Cina, evidentemente, dello Stato di diritto interessa poco, per non parlare del diritto umano alla privacy e della concezione moderna della giustizia, che vorrebbe dare l’opportunità al reo di riconquistare la dignità sociale perduta.
A pensarci bene l’applicazione potrebbe interessare il governo gialloverde, tutto proteso sulla “sicurezza salviniana”, anche per il controllo dei possessori delle ridicole carte postali del “reddito di cittadinanza”, con cui si vorrebbe dare il contentino per un lavoro vero e dignitoso che non si riuscirà mai a garantire finché resteremo sotto il giogo delle banche private e dell’euro.
La Cina è molto avanti su questi temi, come possiamo drammaticamente leggere:
“Tutta la Cina sta lavorando a un gigantesco progetto di ‘credito sociale’. Programmi pilota sono stati lanciati in diverse città che usano i ‘big data’ accumulati sul web per valutare l’affidabilità dei loro abitanti. In un Paese dove tutti, dai 16 anni in poi, debbono avere una carta d’identità elettronica, in una società che ormai usa gli smartphone per i pagamenti anche di pochi yuan, in una Cina dove ci sono già almeno 200 milioni di telecamere di videosorveglianza incrociare i dati, accoppiarli a nomi e volti è possibile (e inquietante) … Yitu Technology di Shanghai con il suo sistema di algoritmi applicati alle immagini facciali permette di identificare 10 milioni di volti in meno di un secondo, senza alcun errore, o così almeno sostengono con orgoglio nazionalista i giornali di Pechino … un reparto di polizia nella provincia di Henan è stato dotato di occhiali con mini-telecamera collegata al database tramite un monitor portatile … in grado di riconoscere ‘il volto di un ricercato in una folla di 10 mila persone in 100 millisecondi’ … La municipalità di Pechino ha annunciato che entro il 2021 sarà in grado di classificare tutti i suoi 21 milioni di abitanti in base a un sistema a punti di affidabilità personale. Verranno assegnati o tolti punti valutando comportamenti virtuosi o colpevoli. I meritevoli, dice il piano delle autorità, potranno muoversi in ‘un canale verde’, i reprobi finiranno in una lista nera e ‘non saranno in grado di muovere un passo’ … Sta già succedendo: oltre 18 milioni di cinesi sono stati banditi dalle compagnie aeree e dai treni veloci per i loro debiti o per comportamenti scorretti … Lo Stato è fiancheggiato dai grandi gruppi tecnologici cinesi, che a loro volta ‘marchiano’ gli inaffidabili. Ping An, gruppo di servizi finanziari, registra le espressioni del volto dei clienti che si presentano per un prestito: la loro tecnologia identifica fino a 54 brevissimi movimenti facciali involontari, come un battito d’occhi o una ruga sulla fronte. Algoritmi segnalano se le micro espressioni sono riconducibili alla volontà di non onorare il debito e allora si passa al setaccio la vita del richiedente.
Sarà a fin di bene, ma il sistema del credito sociale a noi occidentali ricorda l’incubo della società orwelliana. La stampa cinese invece sostiene che chi critica dall’estero ‘perde il quadro generale’ dell’operazione, diretta a migliorare una società armoniosa attraverso l’uso della tecnologia”.
L’orrore appena descritto è, sulle pagine del Corriere, certamente strumentale agli interessi strategici delle nostre élite, come se nel nostro “Occidente dei diritti umani” non si stia andando verso un “progresso” simile.
Il problema dell’Occidente è che è ancora meno efficiente, data l’apparente concorrenza fra pubblico e privato: comunque una situazione in veloce cambiamento, data la sempre più rapida perdita delle sovranità dello Stato di diritto in favore delle corporazioni private.
Ai “sovranisti di destra/sinistra” ed a tutti quelli che adorano la relpolitik vorrei dire di smetterla di adorare gli uomini forti di turno, o di non vedere altre soluzioni che accodarsi all’ennesimo carrozzone trainante la storia, purché non americano.
I “sovranisti di destra”, al contrario, dovrebbero capire che continuare a restare agganciati al vortice Usa di conquista globale, o a quello di Putin, non è la strada per la riconquista della sovranità democratica del nostro Paese.
La politica ha bisogno di un profondo rinnovamento, molto più vasto di quello che ci darebbero le pur necessarie leggi proposte dai comitati etici prima auspicati dal Mézard.
La tecnica, espressione del nuovo dio da adorare, la “scienza”, sembra non avere limiti, geografici ed etici.
Ad essa tutto è permesso e, quando non le sarebbe concesso, si aspetta che il rumore si plachi, mentre i laboratori continuano nell’incessante ricerca del possibile.
Giorno dopo giorno spostiamo il confine di quanto consentito, senza che il pensiero possa dire qualcosa.
La morale, i dubbi, gli argini, tutti si prostrano davanti all’avanzata del calcolo.
Siamo già al servizio di chi controlla le macchine.
L’unica flebile speranza sarebbe una nuova politica: dovrebbe partire dai 30 diritti umani per infonderli pragmaticamente nelle istituzioni e nelle legislazioni in maniera consapevole, condivisa e trasparente, tagliando fuori le logge e gli interessi che succhiano il sangue delle morenti democrazie.
Compito certamente non facile, l’unico per cui valga la pena lottare.
Massimo Franceschini, 28 gennaio 2019
nel mio libro, un programma politico ispirato ai diritti umani, linee guida opportune su questi temi
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