di Miloslav Hamřik
04.04.2021
Un economista olandese crea uno strumento per monitorare l’andamento dei consumi di energia man mano che la catena dei bitcoin si allunga.
Coniare criptovalute oggi consuma circa 100 TWh l’anno: come la Norvegia intera
La moneta virtuale più famosa al mondo non ha un impatto zero, tutt’altro. Come per tutte le criptovalute come ethereum, zcash, litecoin, l’operazione di ‘coniare moneta’ per i bitcoin è dematerializzata ma ha bisogno di energia.
E anche tanta, visto che richiede che i computer eseguano dei calcoli crittografici estremamente complessi.
Un economista olandese, Alex de Vries ha creato il Bitcoin Energy Consumption Index, il primo indice al mondo che tiene traccia dell’impatto delle criptovalute.
Impatto che tende a cresce quanti più bitcoin vengono immessi in circolazione, perché a ogni passaggio il calcolo necessario si allunga.
Secondo de Vries, a fine 2017 i bitcoin consumavano già 30 TWh l’anno, l’equivalente del consumo dell’intera Irlanda.
Adesso, cioè poco più di 3 anni più tardi, il consumo è almeno raddoppiato e forse triplicato: la stima balla tra i 78 e i 101 TWh. E il trend continuerà, visto che può bitcoin vengono coniati e più cala il profitto per chi compie l’operazione. E più sale il valore della cripto valuta.
C’è un rapporto diretto tra valore del bitcoin e consumo di energia, quindi.
De Vries calcola che, assumendo un costo di 5 centesimo di dollaro per kWh pagato dai ‘minatori’ (così in gergo si chiama chi conia) e un guadagno netto fisso del 40% sul valore finale (in media i costi dell’energia necessaria all’operazione battono sul 60%), allora già a gennaio 2021 abbiamo toccato una nuova vetta.
Il 10 di quel mese infatti i bitcoin hanno toccato il loro massimo storico (per ora): 42’000 dollari. A quella cifra corrisponde secondo l’economista un consumo di 184 TWh.
In pratica, l’equivalente di quanto consumano in un anno tutti i data center del mondo.
Tratto da:
https://augustoanselmo.blogspot.com/2021/06/il-lato-piu-nascosto-delle-criptovalute.html
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