di Stefano Magni
Procedendo con ordine, che cosa è lo Stato profondo? Ce lo spiega molto chiaramente, in un suo editoriale sul Wall Street Journal del 9 maggio 2023, David Bernhardt, segretario agli Interni dal 2019 al 2021 negli Stati Uniti. “Dagli anni ‘30 il Congresso ha delegato gran parte della sua autorità legislativa al potere esecutivo. Le agenzie federali ora emettono regolamenti che hanno la forza e l’effetto della legge. I ‘giudici amministrativi’ – dipendenti del ramo esecutivo – presiedono abitualmente procedimenti simili a processi senza giurie, lasciando che le agenzie agiscano sia come pubblico ministero che come giudice”.
Questo potere discrezionale delle burocrazie è solo apparentemente imparziale. In realtà non può esserlo. Gli uomini e le donne che vi lavorano hanno le loro idee e le fanno pesare. “Durante i miei 12 anni di lavoro al governo – spiega Bernhardt – ho spesso visto burocrati di carriera spingere le loro passioni politiche preferite a prescindere dalle regole delle agenzie, dai regolamenti federali o dalla legge”. E la loro ideologia dominante è quasi sempre quella progressista, anche quando il Paese vota conservatore: “Questo comportamento è particolarmente preoccupante quando la burocrazia non è al passo con l’America. Mentre le recenti elezioni dimostrano che il popolo americano è molto diviso politicamente, la forza lavoro federale non lo è. I democratici superano i repubblicani di quasi 2 a 1 tra i dipendenti federali di carriera, creando uno squilibrio che rende molto difficile portare avanti politiche a cui i burocrati di parte si oppongono”.
Gli Usa hanno aperto gli occhi su questo problema solo quando è emersa la prima prova tangibile, con la vicenda della censura dello scoop su Hunter Biden, figlio dell’attuale presidente. Quando il New York Post, alla vigilia delle elezioni del 2020, aveva messo le mani sul pc portatile del figlio del candidato presidente (dimenticato in un negozio di un tecnico per la sua riparazione), vi aveva trovato molto materiale compromettente, storie di corruzione in Ucraina e persino in Cina. Dichiarandola preventivamente “disinformazione”, Twitter aveva sospeso l’account del quotidiano. Non solo, ma aveva sospeso l’account di tutti coloro che rilanciavano la notizia, istituzioni comprese, Casa Bianca inclusa. Era un caso di censura troppo plateale per essere camuffato da normale “tutela” degli utenti.
Spiega l’ex Segretario: “L’America ha visto come funziona la nostra burocrazia di parte quando il New York Post ha riferito del contenuto trovato sul computer portatile di Hunter Biden nell’ottobre 2020. Sebbene la storia documentasse in modo credibile che la famiglia Biden aveva beneficiato di un proficuo traffico di influenze con interessi stranieri, 51 ex funzionari dell’intelligence hanno affermato con una lettera aperta che il portatile aveva ‘tutti i classici segni di un’operazione di disinformazione russa’. I media, insieme ai social network come Facebook e Twitter, hanno quindi utilizzato la lettera per giustificare l’insabbiamento della storia. E così è stato, senza considerare che il contenuto del portatile era autentico, come ha ammesso Hunter. Come se non bastasse, le commissioni giudiziarie e di intelligence della Camera hanno poi scoperto che la campagna presidenziale di Joe Biden ha contribuito a organizzare la lettera”.
Ad organizzare la lettera dei 51 ex funzionari dell’intelligence, nello specifico, era stato Antony Blinken, attuale Segretario di Stato (equivalente del ministro degli Esteri) nell’amministrazione Biden. Lo ha rivelato, in una testimonianza giurata alla Commissione Giustizia della Camera, l’esecutore materiale: l’ex direttore ad interim della Cia Mike Morell.
La storia è confermata anche dai Twitter Files, che hanno documentato il “dietro le quinte” nella sede del grande social network. Da informazioni interne risulta che lo staff di Twitter ricevesse pressioni da entrambi i partiti, ma soprattutto dal Partito Democratico. Era normale che richiedesse di revisionare o di cancellare tweet, da quanto risulta. La decisione di censurare lo scoop del New York Post sarebbe stata presa ai massimi livelli. Non è coinvolto l’ex amministratore delegato Jack Dorsey, mentre un ruolo chiave sarebbe stato giocato da Vijaya Gadde, allora a capo della politica legale. La storia dello hackeraggio russo, per cui era stata attivata la censura, era solo una copertura. Già allora non vi era alcuna prova di hackeraggio e l’attività degli hacker russi, secondo gli stessi organi di controllo di Twitter, era considerata molto blanda in quel periodo.
Alla vigilia delle rivelazioni promesse da Musk, un ex dirigente, che aveva rassegnato le dimissioni al cambio di proprietà, ha deciso di parlare del caso. Ha ammesso che la notizia sia stata deliberatamente censurata e che la compagnia, nel farlo, abbia commesso un errore. Yoel Roth, questo il nome dell’ex dirigente, ha dichiarato che, pur nutrendo dubbi sull’autenticità della notizia, anche allora non avesse idea del perché (e sulla base di quale norma o regola interna) dovesse essere soppressa, tanto da impedirne la condivisione da parte degli utenti. Nel 2021, comunque, anche l’ex amministratore delegato Jack Dorsey, aveva ammesso che censurare il New York Post fosse “un errore”. Però, intanto le elezioni del 2020 erano già state vinte da Biden. Magari un solo scoop non avrebbe spostato voti sufficienti a ribaltare il risultato, ma di sicuro si può parlare di interferenza nelle elezioni.
La censura del New York Post non è un caso unico e non è neppure il più clamoroso. Nel pieno del periodo caotico post-elettorale, veniva addirittura censurato Donald Trump, ancora presidente in carica, dai principali social network. Anche qui, i Twitter Files rivelano come vi sia stata pressione, sia interna che esterna. Ma Twitter si era difesa affermando che Trump aveva violato le regole della comunità, dunque non dovesse essere trattato diversamente da altri utenti colpevoli di violazioni gravi quali l’istigazione alla violenza (come l’assalto al Campidoglio). Ma grazie ai Twitter Files apprendiamo, da quel che scrivevano gli stessi dipendenti e vertici dell’azienda di San Francisco, che Trump venne escluso senza che avesse violato né la legge, né le stesse regole della comunità. È stato chiuso il suo account, in modo permanente (finché non c’è stato il cambio di proprietà) per motivi puramente politici.
Il problema ancora peggiore è che, dalle conversazioni (scritte) interne alla sede del social network, apprendiamo che la decisione di espellere Trump in modo permanente non sia stata solo presa, per motivi politici, all’interno dell’azienda, ma che sia frutto di una serie di pressioni politiche esterne e persino delle agenzie di pubblica sicurezza americane, quali Fbi e Intelligence Nazionale. Quindi un pezzo di Stato, d’accordo con una parte politica (il Partito Democratico), ha fatto pressione su uno dei più grandi social network del mondo perché censurasse Donald Trump.
Dall’8 ottobre 2020 si inizia a parlare di colloqui con l’Fbi e con l’Intelligence Nazionale per combattere contro la disinformazione nel corso delle elezioni. I dipartimenti dediti alla sicurezza all’interno di Twitter iniziano da allora una attività frenetica di revisione, di segnalazione e di oscuramento di tweet sul voto postale già in corso. Ad esempio: «In questo caso, l’Fbi invia segnalazioni su un paio di tweet, il secondo dei quali coinvolge un ex consigliere della contea di Tippecanoe, Indiana, e repubblicano di nome @JohnBasham, che sostiene che “tra il 2% e il 25% dei voti per posta vengono rifiutati per errori”». Dopo un piccolo dibattito interno: «Il gruppo decide poi di applicare l’etichetta “Impara come il voto è sicuro e protetto” perché un commentatore dice che “è assolutamente normale avere un tasso di errore del 2%”. [Yoel, ndr] Roth dà poi il via libera definitivo al processo avviato dall’Fbi». Casualmente o meno, tutte le segnalazioni riguardano messaggi scritti da repubblicani.
Il pressing inizia comunque dopo l’assalto al Campidoglio da parte di estremisti di destra il 6 gennaio 2021. A questo punto Twitter è sottoposto ad una pressione politica e “militare” (dall’esterno), così come ad una sollevazione interna dei dipendenti che chiedono di cacciare immediatamente Trump, anche ignorando le regole di Twitter. L’ex first lady Michelle Obama è una delle figure più in vista che chiedono il ban permanente. Trecento dipendenti firmano una lettera aperta contro la permanenza di Trump su Twitter pubblicata sul Washington Post. Nelle conversazioni interne l’atmosfera è ancor più incandescente: si cita Hannah Arendt e la Banalità del Male (continuare a pubblicare Trump “come eseguire gli ordini superiori dei nazisti”), si equipara Trump ad un leader terrorista o ad uno stragista. Nel frattempo, le regole erano già cambiate ad hoc: «Jack [Dorsey, l’allora ad di Twitter, ndr] ha appena approvato la recidiva per integrità civica. Il nuovo approccio creerebbe un sistema in cui cinque violazioni comporterebbero la sospensione permanente». Sulla base di queste nuove regole, Trump viene bannato in modo permanente.
Tanti altri conservatori, ma anche medici e scienziati, sono rimasti vittima della censura. Trump è il caso più clamoroso perché era il presidente ancora in carica, ma altri personaggi meno noti alle nostre latitudini come il professore di Stanford Jay Bhattacharya o il commentatore televisivo Dan Bongino, hanno subito lo “shadow banning”, una forma di censura sottile in cui tu, utente, puoi continuare a scrivere e pubblicare come sempre, non sei sospeso né bannato, ma non sai che quel che scrivi e pubblichi non viene letto da nessuno, perché il social network lo sta oscurando. Ed anche in questo caso, non si è trattato di una decisione spontanea di Twitter, ma di una decisione spinta dallo Stato.
Nel 2018, Vijaya Gadde aveva dichiarato che la sua compagnia non praticava lo “shadow banning”. Ebbene, a decidere chi potesse essere letto o no, chi potesse diventare un utente di tendenza o limitato a un piccolo pubblico, era deciso da Vijaya Gadde, da Yoel Roth e da un nucleo ristretto di dirigenti e impiegati inquadrati in un dipartimento speciale, lo “Strategic Response Team – Global Escalation Team” semplificato nell’acronimo Srt-Get. Il gruppo passava in rassegna, in media, 200 casi al giorno.
Punti di vista non conformisti sul Covid potevano essere oscurati, come è stato nel caso del professore di Stanford Jay Bhattacharya, secondo il quale il lockdown sarebbe stato nocivo per la salute dei bambini. Twitter lo ha subito inserito nella sua “lista nera delle tendenze” per limitare la diffusione dei suoi post. Il commentatore televisivo conservatore Dan Bongino, per le sue idee politiche è stato inserito nella “lista nera delle ricerche” così che fosse più difficile per gli altri utenti trovare quel che scriveva. Come ha successivamente ammesso un dipendente di Twitter: «Noi controlliamo abbastanza la visibilità [di un utente, ndr]. E controlliamo l’amplificazione dei tuoi contenuti. La gente comune non sa quanto lo facciamo».
Nella prima tranche dei Twitter Files, risultava il coinvolgimento diretto della Convention Nazionale Democratica nell’indicare chi dovesse essere censurato. C’è anche il sospetto che, una volta eletto Biden presidente, gli ordini di censura siano partiti direttamente dal governo. Nel 2021, l’allora portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, diceva che l’amministrazione Biden avesse “contatti regolari” con i social network: «fin dall’inizio, questa amministrazione se ne è occupata, perché sappiamo dal principio che la mala informazione e la disinformazione e come si diffondono nel mondo, stanno diventando una sfida». L’attuale portavoce, Karine Jean-Pierre, all’indomani dell’acquisto di Twitter da parte di Musk, aveva dichiarato che, per evitare la diffusione di disinformazione, l’amministrazione avrebbe tenuto il social network “sotto controllo”.
Secondo il giornalista di inchiesta Matt Taibbi, “I contatti con l’FBI di Twitter erano costanti e pervasivi, come se si trattasse di una società sussidiaria”. Fra il 2020 i contatti fra il già citato Yoel Roth e agenzie federali erano frequenti e costanti, oltre 150 email. Un messaggio dell’ufficio legale di Twitter, del 2022, conferma che le conferenze fra l’azienda e l’Fbi, il Dipartimento di Giustizia e il Dipartimento per la Sicurezza Interna fossero a cadenza settimanale. Un agente federale, citato sotto anonimato, da Taibbi, conferma come questo contatto assiduo sia inusuale. L’ufficio legale, fino all’acquisto di Twitter da parte di Elon Musk era presieduto da Jim Baker, ex avvocato dell’Fbi, uno degli artefici dell’inchiesta Russiagate con cui si intendeva dimostrare il legame fra Trump e i servizi russi nella campagna elettorale del 2016 (indagine finita con un nulla di fatto).
Fbi e altre agenzie federali usavano speciali portali, gestiti da Ong vicine al governo, per segnalare a Twitter i contenuti che il social network avrebbe dovuto “gestire” a modo suo. L’Fbi, in particolare, segnalava contenuti con la dicitura “Possibile violazione dei termini di servizio Twitter”, chiedendo in alcuni casi di conservare comunque i post e anche la geolocalizzazione degli autori. E non stiamo parlando di terroristi, o criminali, ma di siti Web e personaggi politici del mondo conservatore. Il tutto dietro il pretesto della “caccia alle fake news”, sul Covid e sulle elezioni presidenziali del 2020.
“Il succo del discorso: ciò che la maggior parte della gente considera il Deep State è in realtà una intricata collaborazione di agenzie statali, contractor privati, e Ong a volte finanziate dallo Stato. I confini diventano così labili da essere insignificanti”, conclude Matt Taibbi nella sua inchiesta sui Twitter Files. La questione non riguarda, ovviamente, solo Twitter. Il quotidiano The Intercept, cita anche Facebook, LinkedIn, Discord, Wikipedia, Microsoft, Verizon e Reddit, fra le “Big Tech” che hanno tenuto contatti regolari con le agenzie federali.
Questo è ovviamente un solo aspetto dello Stato profondo: come le agenzie dell’esecutivo sono in grado di manipolare e censurare l’informazione. Ed è grave, perché i media e i social media sono internazionali. Manipolando i social media negli Usa, si condiziona l’informazione (e di conseguenza anche il processo democratico stesso) anche in Europa e nel resto del mondo industrializzato. Con discrezionalità e faziosità, le stesse agenzie possono condizionare tanti altri aspetti della vita sociale, con regolamenti sull’ambiente e sulla sanità, sulla sicurezza nazionale e sull’ordine pubblico, erodendo pezzi sempre più consistenti dello Stato di diritto, con accelerazioni forti in periodi di “emergenza” (sempre più frequenti). Quindi: lo Stato profondo esiste anche nelle democrazie ed è un problema. Non può essere rubricato a “teoria della cospirazione”, ma va affrontato, ridando al potere legislativo e a quello giudiziario, quel che è stato affidato con troppa leggerezza alle burocrazie del potere esecutivo.
Tratto da:
https://vanthuanobservatory.com/
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