di Davide Gionco
Di fronte alla profonda crisi economica e sociale di questi tempi si sta sviluppando la nuova cultura della “sovranità popolare” come unica alternativa credibile al pensiero unico dominante “neoliberista” che mette al primo posto la “competitività economica”, la rimozione di ogni vincolo alla circolazione di merci e capitali, la concentrazione del potere finanziario ed economico nelle mani di pochissimi soggetti a livello mondiale e la riduzione ai minimi termini dello Stato tramite l’attuazione delle politiche di austerità.
La cultura socialista “di sinistra”, rifacentesi a Marx e, in Italia, a Gramsci, sembra avere perso quasi del tutto la capacità di interpretare la realtà. Il principio della “lotta di classe” risulta inadeguato ad analizzare una situazione in cui imprenditori e lavoratori sono entrambi vittime del sistema di potere incarnato dalle lobbies finanziarie. La cultura della internazionalizzazione tipica del socialismo porta a riporre una cieca fiducia negli organismo internazionali non democratici e manipolati dalle lobbies (Unione Europea, BCE, FMI, ecc.), dimenticando che l’unico organismo decisionale sul quale il popolo italiano ha qualche voce in capitolo è il parlamento nazionale. L’irrilevanza politica in Parlamento della “sinistra” è la conseguenza logica ed evidente di questa inadeguatezza culturale
La cultura politica cattolica, con il concetto fondamentale della Dottrina Sociale della Chiesa che mette al centro la persona ed il popolo (da Giuseppe Toniolo in poi), avrebbe in sé tutto il potenziale per sfidare culturalmente il pensiero unico dominante neoliberista, a beneficio non solo dei cattolici, ma di tutto il popolo italiano. Tuttavia con la fine della Democrazia Cristiana nel 1994 come partito di riferimento per i cattolici (secondo la dottrina del cardinal Ruini, secondo il quale non sarebbe necessario un partito di valori cattolici, ma solo dei buoni cattolici presenti nei vari partiti) è venuta a mancare la proposta culturale di una visione d’insieme della società centrata sulla persona. Dal 1994 in poi la cultura politica cattolica è rimasta subalterna alla cultura socialista, ma soprattutto al pensiero unico neoliberista. L’utilizzazione negli ultimi 25 anni dei simboli legati all’esperienza politica della Democrazia Cristiana unicamente per fini elettorali e per l’affermazione di personaggi di scarsa qualità politica (ma di importanti relazioni di interessi privati) ha portato alla sostanziale irrilevanza politica anche di questa cultura, che pure molto bene aveva fatto all’Italia nei decenni precedenti.
In entrambi i casi, sia quello della cultura socialista, sia quello della cultura cattolica, l’inadeguatezza ad interpretare la situazione attuale deriva anche dalla sostanziale ignoranza dei meccanismi tecnici di funzionamento della macroeconomia, ovvero del funzionamento dell’economia di una nazione in modo aggregato e delle sue relazioni con le dinamiche della finanza internazionale. Le lobbies finanziarie hanno da decenni imposto un “pensiero unico” relativamente alle questioni macroeconomiche, al punto che tale pensiero è diventato parte integrante della cultura socialista e della cultura cattolica, privandole di fatto della capacità di interpretare i problemi economici dell’Italia di oggi e di offrire risposte adeguate.
L’attuale pensiero unico dominante “neoliberista” in materia di economia, che pervade la cultura (mass-media, università, fino ai discorsi nei bar) e che impedisce al 99% della popolazione di rendersi conto dei meccanismi che portano l’1% della popolazione ad essere sempre più ricco, ha avuto origine durante una riunione a Parigi nel 1938, avendo fra i partecipanti i due economisti Ludwig Von Mises e Friedrich Hayek.
La cultura di “sovranità popolare” fa invece riferimento all’art. 1 della Costituzione della Repubblica Italiana il quale dichiara che “la Repubblica è fondata sul lavoro” e che “la sovranità appartiene al popolo”. La Costituzione che mette le persone al centro dell’azione politica, con la loro dignità e la loro umanità “collaborativa”.
L’art. 1 della Costituzione fu stato frutto della profonda condivisione di valori all’interno dell’Assemblea Costituente (1946-1948), che hanno espresso una sintesi dei fondamenti della cultura cattolica e della cultura socialista.
La cultura di sovranità popolare, quindi, non si pone in contrapposizione alle culture che storicamente hanno caratterizzato (nel bene!) la politica italiana della Prima Repubblica e neppure alla cultura liberale che ha saputo difendere il sistema produttivo italiano dagli eccessi di “populismo” e di “statalismo” provenienti dalle due culture dominanti.
La cultura di sovranità popolare mette al centro la persona e il lavoro, ovvero il ruolo sociale delle imprese e dei lavoratori che consente di produrre i beni e servizi che sono il nostro benessere e nello stesso tempo di dare dignità, attraverso il lavoro, alle persone, assegnando loro un ruolo utile nella società.
La sovranità appartiene al popolo, in quanto solo il popolo può garantire che le decisioni politiche siano prese nei propri interessi. Per questa ragione le cessioni di sovranità a soggetti terzi, in particolare a soggetti non democratici ed internazionali, devono essere limitate a casi eccezionali e motivati da una convenienza per il popolo.
La cultura di sovranità popolare intende quindi porsi come alternativa netta e chiara al pensiero unico dominante neoliberista, contrastandone con forza i fondamenti e mettendo in evidenza la sua contrapposizione ai valori fondanti della nostra Costituzione e del nostro vivere civile. Principi come quello della “competitività” citato nel Trattato di Lisbona (“un’economia sociale di mercato altamente competitiva”) sono in assoluta antitesi con l’art. 1 della Costituzione, in quanto un popolo vive bene se tutti vivono bene insieme, le persone più competitive e le persone meno competitive: la dignità umana deve essere assicurata a tutti.
La cultura di sovranità popolare approfondisce responsabilmente gli aspetti tecnici legati al funzionamento macroeconomico di una nazione, in modo da sviluppare un progetto politico adeguato a far fronte all’azione dei poteri forti legati alla finanza internazionale e in modo da offrire al popolo gli strumenti per riaffermare la propria sovranità sulle scelte politiche e sul proprio avvenire.
La riaffermazione dei valori di sovranità popolare andrà quindi a beneficio delle culture politiche i cui valori hanno prodotto la nostra Costituzione, aiutandole a liberarsi dalle falsità ideologiche sulle questioni economiche che le hanno rese oggi sostanzialmente irrilevanti nella cultura politica del paese
Davide Gionco
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