Libertà e democrazia passano necessariamente dalla cultura e dall’arte
La pensata della Lega sulle quote di “musica italiana” che andrebbero trasmesse in radio è l’ultima trovata elettoral-populista di una politica interessata alla continua distrazione dai problemi fondamentali della nostra democrazia e del vivere quotidiano.
Problemi che, ricordo in sintesi, derivano tutti dalla costante perdita delle sovranità degli Stati Nazionali e dello Stato di diritto più in generale, nei confronti di un sistema di logge e corporazioni globali capaci di corrompere la politica, i luoghi della democrazia ed i poteri dello Stato.
Non bastavano a distrarre i migranti, la molto più seria “secessione soft” di questi giorni o le “diatribe” interne di un governo che guarda sempre più alle elezioni.
Elezioni che, è bene ricordare, ci regaleranno un’Europa più coesa: quegli USE da gettare in sostegno al confronto globale USA/resto del mondo ed a cui offriremo le residue, ormai insignificanti, sovranità legislative della Repubblica.
Non paghi delle brutture del recente Sanremo, con il fenomeno “trap” evidentemente da sdoganare al grande pubblico, il sistema distraente politico-mediatico centra quindi sulla “musica” un nuovo focus.
Anche se penso che il pop odierno sia abbastanza lontano da ciò che fino a pochi decenni fa potevamo ancora chiamare “arte”, non credo che la politica debba entrare in questo modo e delimitare i residui, effimeri spazi di libertà del pubblico, pur ormai soggiogato ai poteri ed ai gusti imposti delle corporazioni.
Il problema si guarda male da tutte le angolazioni.
Se parliamo di “musica italiana” ne resta ben poca da un pezzo: la globalizzazione dei consumi e dei processi formativi permessa dalla tecnica ha ormai appiattito l’offerta musicale per creare un unico, immenso mercato da poter controllare e gestire a piacimento delle major discografiche.
Le armonie sono ormai soggiogate a ritmiche invariabili che appiattiscono tutto, per non parlare delle melodie: minimali e banali per un cantato “parlato” o strillato o quasi del tutto assente per dar spazio al cosiddetto Hip hop, un fenomeno più culturale che musicale, dove la “musica” è minimale, tribale, monotona.
E non parliamo dei “valori” che vengono spacciati ai nostri giovani, per capirlo basta leggere i testi di molta “musica” che ascoltano: droga, sesso, denaro, consumo, alienazioni varie, punto.
Il pop moderno quindi è pieno di brutte, minime melodie, strillate a squarciagola o “mal cantate”, condite sempre più spesso da un qualcosa di Hip hop per cambiare un po’ aria. Fine.
Basta ascoltare qualche pezzo dei Beatles per capire immediatamente le ricchezze ritmico-armonico-melodiche e di arrangiamento perdute sulla strada del massimo guadagno globale, per una platea di musicisti/fruitori musicalmente sempre più ignorante.
Rivendicare percentuali di musica “nostrana” in questo panorama fa quindi sorridere, considerando anche il fatto che i grandi distributori, le major, sono colossi multinazionali.
Una politica veramente “sovrana” dovrebbe occuparsi di ben altre questioni e finanziare alla grande scuola e cultura, per far capire alle nuove generazioni cosa stanno perdendo in questo mondo gestito dalla tecnica e da chi la controlla.
Una visione scolastica in cui si torni a considerare la cultura umanistica, filosofica, letteraria e artistica in modo da bilanciare il tecnicismo imperante dovrebbe essere fra le priorità di una politica che pretenda di servire veramente il Paese.
Nuove generazioni in grado di apprezzare aspetti culturali e artistici oggi sacrificati sull’altare della “scienza”, dell’automazione e del lavoro precario, rimetterebbero immediatamente a posto le sorti culturali del Paese.
Si potrebbe così ristabilire un nuova disponibilità intellettuale a pensare con la propria testa, per non farsi colonizzare da fenomeni commerciali globali che con l’arte hanno ben poco a che vedere.
Non dobbiamo dimenticare che al potere globale delle corporazioni non interessa solo guadagnare il più possibile, sbagliamo se vediamo il problema da un punto di vista esclusivamente economico da regolare con leggi e tasse.
Il sistema tecnocratico ama il controllo, il consenso al suo dominio: il guadagno indotto dalla cultura del consumo è funzionale al controllo stesso, cosa assai facilitata se le persone vedono restringersi il proprio orizzonte culturale e di pensiero.
La circolazione “ordinata” di uomini ed elementi culturali non dovrebbe essere quindi interrotta, l’umanità ha sempre trovato fecondi i periodi di convivenza pacifica di culture e le conseguenti sintesi.
È la circolazione di capitali e della finanza globale il vero problema: sta distruggendo economie e sistemi democratici con la complicità di una politica corrotta e di un sistema mediatico ormai padrone nell’indirizzare i fenomeni suddetti ed i nostri pensieri.
Il mio invito è perciò quello di riflettere e analizzare quanto il sistema politica-spettacolo ci propina partendo da un processo di auto-analisi, che investa anche i nostri gusti e desideri, le nostre vere inclinazioni, i sogni perduti/sacrificati al consumo e alla “sopravvivenza” di ogni giorno.
Non ci libereremo senza un atto di volontà consapevole, anche culturale.
Massimo Franceschini, 18 febbraio 20129
fonte immagine PxHere
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