La sovranità monetaria non è quello che pensiamo

di Davide  Gionco
06.10.2024

Ogni volta che sentiamo parlare di sovranità monetaria rischiamo di ricadere subito sul termine “sovranità”. Ci viene in mente il “re-sovrano”, che con la sua zecca conia monete con la propria immagine. Insomma: un esercizio formale di potere, che usa la circolazione delle monete come forma di autopropaganda.

Moneta emessa dall’imperatore Augusto

Certamente uno degli aspetti legati alla sovranità monetaria metallica o cartacea è la possibilità di fare propaganda tramite la circolazione di certe immagini. La cosa è avvenuta per secoli in passato e l’attuale Banca Centrale Europea non fa eccezione, usando le banconote per propagandare l’idea di Europa unita.

Tuttavia questo aspetto legato alla sovranità monetaria oggi è diventato marginale rispetto ad altre questioni ben più importanti che analizzeremo in questo articolo.

Molte persone sono convinte che il denaro abbia una funzione “neutrale”, in quanto ciascuno di noi lo incassa e lo spende, senza preoccuparsi troppo delle regole di emissione e di circolazione. Che si tratti di euro, di dollari, di lire o di antichi talleri fa poco differenza. Quando si sente parlare di “sovranità monetaria” si pensa quindi alle ideologie nazionaliste-sovraniste-populiste, che si rifanno alla sovranità nazionale in contrapposizione alle decisioni prese da organismi politici sovranazionali. Si pensa a leader come i vari Trump, Le Pen, Salvini, Farage, Orban, ecc.
La moneta è vista un simbolo di sovranità nazionale. In questo senso essere per la sovranità monetaria nazionale significa essere nazionalisti, mentre essere in favore di una moneta unica sovranazionale, come ad esempio è l’euro, significa aderire ad una visione ideologica multinazionale del mondo. In entrambi i casi si tratta di una visione ideologica della moneta, che trascura totalmente il ruolo che una moneta svolge nella nostra economia moderna.

In questo articolo spiegherò come in realtà la sovranità monetaria non è una questione ideologica e simbolica, ma è qualcosa di molto concreto, che ci riguarda tutti e che ha a che profondamente a che fare con la nostra vita di tutti i giorni: il nostro stipendio, il prezzo dei beni o servizi che acquistiamo, la salvaguardia dei nostri risparmi, i servizi pubblici.

 

Che cos’è il denaro

Per comprendere cosa significhi la sovranità monetaria è prima di tutto necessario comprendere che cos`è la moneta nella società umana. Non tanto a livello individuale, perché tutti sappiamo bene a cosa serve e come funziona il denaro, ma come funziona a livello collettivo.

Lungo la storia l’umanità ha creato molti tipi di moneta aventi come primo scopo la facilitazione degli scambi di beni e di servizi, permettendo di dilazionarli nel tempo.
Il baratto è uno scambio diretto e immediato, che non richiede moneta, ma la maggior parte degli scambi oggi avviene in modo indiretto ovvero io vendo i beni/servizi che ho prodotto, mettendoli sul piatto comune del baratto multilaterale. In cambio posso prendere ciò di cui ho bisogno, prendendolo dallo stesso piatto. Il denaro è lo strumento che serve a misurare il valore di ciò che metto sul piatto e di ciò che desidero prendere dal piatto.
Dal punto di vista del valore reale il denaro non ha valore, in quanto il baratto multilaterale si conclude solo quando ho preso dal piatto dei beni o servizi in cambio di quelli che ci avevo messo tramite il mio lavoro.
Il valore aggiunto creato dallo strumento è la facilitazione degli scambi, la quale permette a ciascuno di noi di produrre in modo più specializzato ed efficiente, sapendo che altri fanno lo stesso Alla fine la produttività complessiva è aumentata, perché tutti abbiamo potuto produrre con maggiore competenza i beni e servizi richiesti dalla comunità economica. Quindi siamo tutti più ricchi.
Se ciascuno dovesse prodursi da sé tutto quello che serve la produzione sarebbe molto meno efficiente e saremmo più poveri.

La cosa importante è la fiducia nella rappresentazione di valore dello strumento-denaro che utilizziamo, dato che sempre esiste il rischio che qualcuno prenda beni e servizi dal piatto senza avere prodotto altrettanto (come fanno i ladri). Per questo si è reso necessario istituire un’autorità di controllo pubblica (il re o la banca centrale) che assicuri che il denaro detenuto in questo momento da una persona sia effettivamente corrispondente al valore dei beni e servizi precedentemente prodotti. Se ciascuno fabbricasse da sé il denaro questa verifica non sarebbe possibile.

Un’altra funzione collettiva della moneta è il regolamento degli scambi economici internazionali fra diverse nazioni. Se all’interno di una comunità economica nazionale esiste la fiducia sul valore di scambio della propria moneta nazionale, negli scambi internazionali il valore non è garantito dalla fiducia, ma dalla qualità/quantità di beni e servizi oggetto degli scambi internazionali. Se il paese A ha una bilancia commerciale in attivo rispetto al paese B, la moneta del paese A sarà più richiesta di quella del paese B. Di conseguenza ci sarà un naturale aumento del tasso di cambio di A rispetto a B, con le conseguenze del caso sui commerci. Quindi se anche il paese B stampasse più monete per acquistare “a gratis” più merci dal paese A senza migliorare la propria bilancia commerciale, il mercato delle valute riaggiusterebbe rapidamente il tasso di cambio.
Nella realtà la situazione non è così semplice, in quanto ci sono delle valute accettate da tutti a livello internazionale su base fiduciaria, come il dollaro e in quanto ci sono gli interventi delle banche centrali che tendono a contrastare le naturali dinamiche dei tassi di cambio. In questo articolo non ci occuperemo di questi aspetti. Ci basti sapere che per le grandi nazioni con decine di milioni di abitanti l’economia interna è sempre più rilevante degli scambi con l’estero, per cui la questione dei tassi di cambio risulta meno rilevante di altre questioni che andiamo a trattare in questo articolo.

 

Breve storia della moneta

Dal punto di vista storico sono state utilizzate come mezzi di pagamento diverse soluzioni tecniche che consentivano di mantenere il valore nel tempo, in modo da avere il tempo di completare il “baratto multilaterale”. Ad esempio veniva usato il sale (da cui il termine salario) o il bestiame (pecus -> pecunia). Per secoli sono state utilizzate monete metalliche (oro, argento, bronzo o leghe varie) avente un valore intrinseco garantito dal conio dell’autorità pubblica.
A partire del XVIII secolo in Europa hanno iniziato a diffondersi le banconote cartacee. Si trattò di una rivoluzione, perché dopo molti secoli non era più necessario utilizzare come moneta un oggetto metallico di valore intrinseco, ma era sufficiente uno strumento scritturale certificato che garantiva il valore nominale. Inizialmente le banconote dovevano essere garantite da corrispettive riserve d’oro depositate nei forzieri (l’oro restava la vera moneta a corso legale), ma, siccome nessuno andava a controllare quanto oro c’era nei forzieri, la quantità di banconote superava la quantità di riserve.
Ovvero: la quantità di moneta non corrispondeva più al valore del lavoro (produzione di beni e servizi) già realizzato, ma al valore della produzione futura. Questa fu la seconda grande rivoluzione, perché si era capito che serve più denaro se la produzione economica cresce, perché aumenta la popolazione, perché aumenta la specializzazione del lavoro e perché vengono creati nuovi macchinari che consentono di aumentare la produzione per unità di tempo. L’aumento degli scambi richiede più denaro.
Di conseguenza si era sempre meno interessati alle riserve d’oro nei forzieri e si era più interessati alla possibilità di aumentare la produzione e la disponibilità di beni e servizi: la vera ricchezza di una società economica.

L’evoluzione finale della tecnica monetaria ha infine portato all’attuale moneta elettronica scritturale, che oggi rappresenta oltre il 95% della massa monetaria in circolazione. Le scritture su carta sono diventate scritture su computer e su carte magnetiche.

 

Breve storia giuridica della moneta

La moneta nacque come strumento “privato” utile per i commerci privati. Solo successivamente è nata la moneta “del sovrano”, il quale garantiva il peso e la purezza del metallo apponendo la propria effige sulle monete e imponeva, con la forza, di pagare le tasse in quella moneta. E, naturalmente, il sovrano lo faceva per trarne dei vantaggi, sia di tipo fiscale (è più funzionale riscuotere tasse in denaro che in natura), sia per la possibilità di imporre la riduzione del titolo metallico a parità di valore nominale. La differenza guadagnata fra il valore in natura percepito e il valore nominale è il famoso “signoraggio”.

L’uso del diritto sulla creazione della moneta si è reso necessario per regolamentare questa quota di “signoraggio”. Solo il re aveva il diritto di imporre un valore nominale inferiore al valore intrinseco del metallo, traendone profitto, a beneficio del popolo (se governava bene) o di sé stesso (se governava male).

Quando, nel Medioevo i commercianti hanno iniziato ad avere sempre più soldi, sono aumentati i prestiti ad interesse e ad usura. Con l’avvento della moneta cartacea scritturale il fenomeno è aumentato ulteriormente.
I commercianti dediti ai prestiti a interesse hanno creato le banche private. Le banche private prestavano soldi anche ai re, finanziando le guerre.
Le guerre portavano 2 vantaggi: 1) indebitavano i re con le banche, aumentando il potere politico delle banche sul re; 2) consentivano di conquistare nuovi territori di re che non sottostavano a quel sistema, portandoli sotto il controllo finanziario delle banche.
Quando studiamo la storia e le varie guerre non ci spiegano mai che le guerre si facevano solo se erano finanziate dalle banche. Quindi erano le banche a consentire o a non consentire ai re di fare le guerre. E con chi. Quando il re vinceva la guerra, poteva annettere un nuovo territorio e quel territorio era anche conquistato agli interessi della banca.

I prestiti a interesse agli stati sono un sistema di controllo perenne, in quanto la quota degli interessi può essere ripagata solo contraendo un nuovo prestito.
La tassazione dei cittadini e delle imprese è lo strumento per massimizzare la rendita delle banche, che riescono a estrarre valore dal lavoro di tutta la nazione assoggettata.

Il potere delle banche crebbe fino ad arrivare alla nascita delle banche centrali. La prima fu la Banca d’Inghilterra, nata nel 1694. Successivamente il potere delle banche centrali aumentò fino a ottenere l’incarico esclusivo dal sovrano (e successivamente degli stati “democratici”) per l’emissione delle banconote a corso legale e di decidere le regole di emissione e di circolazione del denaro.

Le banche centrali inizialmente mantenevano ancora un legame con il potere politico istituzionale, tuttavia nel corso del XX secolo la regolamentazione delle banche centrali ha consentito un fortissimo sviluppo delle banche private, riducendo l’emissione di moneta a corso legale all’attuale 3% circa del denaro circolante. Di conseguenza il potere dello stato è fortemente diminuito.
La maggior parte del denaro che oggi utilizziamo, circa il 97%, non è moneta a corso legale, ma è moneta scritturale privata bancaria originata dall’emissione di nuovi prestiti bancari. Quando una banca fa un prestito scrive “dal nulla” sul conto corrente del signor X l’importo del denaro creato. Il signor X fa un bonifico al signor Y e le scritture vengono modificate. Quel denaro continua a circolare di conto corrente in conto corrente, fino a che ritornerà al signor X che, nel frattempo, sta pagando le rate per restituire il prestito.
I nuovi prestiti creano nuovo denaro. Le rate pagate distruggono il vecchio denaro. Il tutto in una evoluzione dinamica.

Il meccanismo creato dalle banche del Medioevo e dell’Età Moderna viene mantenuto, dato che l’importo da restituire, capitale + interessi, è sempre superiore all’importo prestato. In questo modo inevitabilmente qualcuno dovrà contrarre nuovi prestiti a interesse, perpetuando il sistema. Come una droga che dà dipendenza.

Oggi le banche centrali hanno conquistato il potere di regolamentazione e di controllo sull’attività delle banche private.
Contemporaneamente hanno mantenuto il ruolo di perpetuare il debito degli stati, dato che la moneta a corso legale, le banconote cartacee, vengono sempre prestate a interesse agli stati in cambio di titoli di debito, i quali stati sono obbligati a emettere nuovo debito per restituire il precedente prestito + interessi. Esattamente lo stesso meccanismo utilizzato nel settore privato.

Le banche centrali oggi sono indipendenti dal potere politico ovvero decidono la regolamentazione senza tenere conto delle decisioni dell’autorità politica. Evidentemente nessuno ci garantisce che lo facciano negli interessi dei popoli, quanto piuttosto negli interessi di certi investitori finanziari.
Le regole delle banche centrali, infatti, portano vantaggi ad alcuni e svantaggi per altri, non sono mai neutrali. Ed è un fatto che le persone che operano a guida delle banche centrali hanno tutte fatto carriera nel mondo delle banche private.

Non a caso le poche banche centrali che ancora sottostanno al controllo politico si trovano in paesi autoritari (Cina, Russia, Venezuela, Cuba, Iran, ecc.) che sono “non amici” del blocco dei paesi occidentali, nei quali invece le banche centrali sono indipendenti dalla politica, operando per conto di altri interessi.

Le regole delle banche centrali e la nostra vita quotidiana

In quale modo le regole delle banche centrali influenzano l’economia reale a cui noi quotidianamente partecipiamo ?

  1. La banca centrale ha il potere di determinare il tasso di interesse di riferimento, che è il tasso a cui la banca centrale presta denaro alle banche private.
    Questo valore determina indirettamente il livello dei tassi di interesse che uno stato deve pagare sul debito pubblico e il livello dei tassi di interesse che famiglie e imprese devono pagare sui prestiti contratti con le banche.
    Un aumento della quota interessi da pagare limita la possibilità di stato, famiglie e imprese di fare investimenti. Un aumento eccessivo dei tassi di interesse porta alla recessione economica ed alla distruzione di posti di lavoro, con l’aumento di disoccupazione e povertà, portando allo stesso tempo, quantomeno nel breve e medio termine, a un aumento degli utili da parte delle banche e degli investitori finanziari.
  2. La banca centrale può decidere se cooperare o meno con il governo a livello economico. Può decidere di acquistare illimitatamente i titoli di debito emessi dal governo stampando più denaro. In questo modo il governo potrebbe emettere titoli a tasso zero per finanziare la spesa pubblica, liberandosi dal giogo della quota interessi. Se la banca centrale, come fa la BCE, non coopera per l’acquisto illimitato di titoli (come invece fa attualmente la BOJ giapponese), allora sono i mercati a determinare i tassi di interesse che lo stato deve pagare sul debito, gravando sui bilanci di cittadini e imprese.
    Addirittura la banca centrale potrebbe dare al governo il denaro che stampa senza chiederne la restituzione. Di conseguenza il governo potrebbe mantenere gli stessi livelli di spesa pubblica riducendo le tasse. Oppure potrebbe aumentare gli investimenti pubblici senza dover aumentare le tasse.
    La banca centrale, indipendente dal potere politico, può decidere di fare questo o di non farlo. Può cooperare con il governo per favorire lo sviluppo economico o può non cooperare con il governo, lasciandolo disarmato nell’intento di risolvere i problemi economici e sociali derivanti dalla mancanza di fondi pubblici.
    Naturalmente se la banca centrale favorisce una eccessiva messa in circolazione di nuovo denaro, non corrispondente ai livelli produttivi, c’è anche il rischio di un aumento dell’inflazione, che andrebbe a erodere il potere d’acquisto delle famiglie. Non si capisce perché questa responsabilità debba essere della banca centrale e non di chi è stato votato per governare il paese.
    Il fatto che la banca centrale sia indipendente sottrae al governo politico la possibilità, ma anche la responsabilità, di decisioni molto rilevanti per la politica economica di un paese.
  3. La banca centrale stabilisce il livello di riserve che le banche private devono garantire (oggi siamo intorno al 10%) per fare nuovi prestiti. Se il livello di riserve si riduce, le banche private hanno la possibilità di fare più prestiti, mettendo in circolazione più moneta scritturale e causando fenomeni inflattivi (specialmente nel settore immobiliare). Se il livello di riserve aumenta, si riduce la possibilità per le banche di fare credito. L’effetto è simile a quello dell’aumento dei tassi di interesse, con la differenza che non ci sono ripercussioni diretti sui tassi di interesse dei prestiti e dei titoli di stato.
  4. Combinando insieme le diverse regole la banca centrale può far crescere l’economia privata stimolata dal credito delle banche private (costruzioni, investimenti produttivi delle imprese) e far crescere l’economia pubblica stimolata dalla spesa governativa (spesa sociale, infrastrutture pubbliche, servizi pubblici). O viceversa, naturalmente. Negli ultimi decenni le banche centrali hanno deciso di minimizzare il ruolo dello stato nell’economia. Ovviamente senza chiedere il nostro permesso.
  5. Infine la banca centrale deve controllare la correttezza dell’attività delle banche private. Se i controlli sono rigorosi, le banche rispetteranno le regole prestabilite. Ma se i controlli non sono rigorosi, o addirittura in conflitto di interessi, allora le banche private potranno commettere irregolarità e persino crimini, danneggiando imprese e famiglie a favore di pochi. In Italia negli ultimi decenni siamo stati testimoni di molti scandali derivanti dalla scarsa vigilanza della Banca d’Italia.

In conclusione il potere giuridico oggi attribuito alle banche centrali consente loro di influenzare enormemente la politica economica di un paese, senza però renderne conto ai cittadini. La parte più sostanziale delle decisioni politiche proprie di uno stato democratico sono state affidata a un organismo non democratico e autoreferenziale, senza che neppure noi ne fossimo informati.

Di conseguenza oggi è la banca centrale a determinare in gran parte i risultati delle politiche economiche di un governo, senza però assumersene le responsabilità.

Stante questa situazione, che cosa significa oggi avere la sovranità monetaria?

 

La sovranità monetaria nell’economia moderna

Stanti gli attuali poteri della banca centrale una nazione che avesse la sovranità monetaria non avrebbe molti margini di manovra in più rispetto a una nazione priva di sovranità monetaria formale, come lo è ad esempio l’Italia che non dispone più di una propria moneta nazionale.
L’unico vantaggio sarebbe che non avremmo un tasso di cambio fisso con gli altri paesi dell’area valutaria (Eurozona), per cui la moneta sovrana potrebbe svalutarsi o rivalutarsi in funzione degli scambi commerciali, come è successo ad esempio in Europa a paesi come la Polonia o l’Ungheria. Sarebbe un piccolo per favorire il nostro sistema produttivo indirizzato alle esportazioni, ma non così rilevante per l’economia del paese che si basa soprattutto sul mercato interno.
Quindi invocare il ritorno alla sovranità monetaria formale senza andare a riformare lo status giuridico della banca centrale servirebbe a ben poco.

Se il governo avesse i poteri della banca centrale potrebbe facilmente trovare i fondi necessari, creando più denaro dal nulla (come fanno le banche centrali) e senza caricarsi di debiti a interesse, per fare nuovi investimenti e creare posti di lavori per i disoccupati. Questi investimenti non porterebbero a un aumento dell’inflazione, in quanto gli ex disoccupati ora stipendiati aumenterebbero il loro potere di spesa, andando ad aumentare le vendite, quindi anche la produzione, di beni e servizi nel settore privato.

Allo stesso modo il governo potrebbe ridurre il carico fiscale (e magari anche la burocrazia) che pesa su famiglie e imprese, in modo da lasciare più risorse in tasca a famiglie e imprese per i loro investimenti privati.
Non mancherebbero i fondi per gli interventi di risanamento idrogeologico del paese o per la messa in sicurezza sismica degli edifici. Il limite sarebbe ora costituito dalla disponibilità della forza lavoro.

Il debito pubblico cesserebbe di essere un problema, in quanto lo stato non avrebbe bisogno di indebitarsi per finanziarsi. La vendita di titoli resterebbe un semplice servizio pubblico di risparmio per i risparmiatori.

Naturalmente un governo avente i poteri della banca centrale dovrebbe anche assumersi la responsabilità delle proprie scelte, facendo attenzione a non far crescere troppo il tasso di inflazione a seguito di una spesa eccessiva.

In attesa di avere al governo delle forze politiche con le idee chiare sulla sovranità monetaria e capaci di riformare la banca centrale, in realtà ci sarebbero già ora dei margini di manovra.
Invece di riformare la banca centrale si potrebbe semplicemente creare una moneta parallela pubblica, cosa che non è per nulla vietata dai trattati europei che l’Italia ha sottoscritto. Lo stato potrebbe usarla per pagare dipendenti e fornitori e accettarla per il pagamento delle tasse. Naturalmente ci sarebbe un meccanismo di cambio con le altre monete circolanti in altri paesi (euro, dollaro, ecc.).
Peraltro oggi, con la moneta per lo più in forma elettronica, sarebbe semplice creare una moneta parallela, con tanto di scrittura blockchain per evitare le falsificazioni. Lo potrebbe fare direttamente il Ministero dell’economia, attribuendo a ogni cittadino o soggetto giuridico un conto corrente gratuito su cui scrivere le cifre dei conti.
L’attuale banca centrale verrebbe relegata ad occuparsi della vecchia moneta che andrà progressivamente fuori mercato.

Tutte le restrizioni vigenti sui conti pubblici derivanti dai trattati europei riguardano i conti in euro, non i conti in una eventuale valuta parallela interna. A quel punto il governo si sarebbe di colpo liberato da tutti i vincoli artificiali imposti negli anni da parte di organismi nazionali e internazionali molto attenti agli interessi dei mercati finanziari e molto poco agli interessi di famiglie e imprese.

A quel punto al governo resterà solo la responsabilità di gestire in modo opportuno ed accorto lo strumento della piena sovranità monetaria, per favorire l’economia del paese a vantaggio della popolazione e non di ristretti poteri finanziari.

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