SANITÀ MENTALE E DIRITTI UMANI: COME DIFENDERE I DIRITTI DEGLI ULTIMI

Una nuova politica non può essere solo “economicista”

Qui un video in cui leggo l’articolo, insieme ad altre considerazioni ispirate alla cronaca

 

di Massimo Franceschini

 

Come ripeto spesso, credo che il fenomeno politico più eclatante della modernità sia la progressiva perdita di sovranità per lo Stato di diritto, in favore di organismi internazionali controllati da logge e centri di potere finanziari più o meno occulti.

Tale sottrazione è giustificata dal sistema politico-mediatico come “globalizzazione”, con la “crisi” e con varie pretese di pace e coordinamento internazionale, mentre in effetti possiamo vvedere come al contrario la tendenza al riarmo e lo studio di nuove armi sempre più letali/invasive sia all’ordine del giorno.

Ciò che normalmente non consideriamo, è quanto tale de-sovranizzazione delle nazioni sia “secondaria” a quella delle nostre stesse vite.

Infatti, se è vero come è vero che le costituzioni moderne si basano sulla fondamentale “etica laica” che fa capo alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, è del tutto evidente che i 30 diritti umani siano per la maggior parte trascurati e non sufficientemente attuati in molti ambiti.

Uno di questi è fondamentale, al pari del tradimento dei cosiddetti “diritti sociali”, perché investe potenzialmente la libertà e la dignità di ogni uomo, che è alla base di ogni altro diritto: sto parlando dell’ambito della “sofferenza mentale” e del comportamento umano.

Le violazioni dei diritti umani in questo ambito creano una delle “categorie” più svantaggiate, gli “ultimi” della società, senza più diritti e dignità.

Lo stigma psichiatrizzante e la “cura” che investono le sfortunate vittime di questo sistema, sono permessi da una cultura laicista sbilanciata verso un “materialismo” e un “tecnicismo” che sanno tanto di “modernità”, certo non di umanità.

Ci ritroviamo così incuranti delle istanze umanistiche e non teniamo conto della irriducibilità del comportamento umano, se non con la violenza, a parametri di controllo che non si differenziano poi tanto dai vecchi oscurantismi di altro segno.

Tutto ciò vede la politica generalmente insensibile e “pilatesca”, tendente a preferire un “controllo” violento e autoritario al vero aiuto, alla cultura e alla libertà.

Al contrario, anche se in porzione minoritaria, il mondo della cultura e del volontariato combattono da sempre una strenua battaglia di sorveglianza e denuncia delle violazioni ai diritti dell’uomo da parte della psichiatria, unendo ambiti culturali laici e non, in una comune e quanto mai necessaria opera di sensibilizzazione.

Il più importante esempio di questa convergenza fra mondi culturali diversi, spiegata insieme alla sua attività qui, è il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani (CCDU), le cui denunce e ispezioni portarono anche alla chiusura dei manicomi in Italia.

Il CCDU, che già aveva elaborato la “Dichiarazione dei Diritti Umani sulla Salute mentale”,  si fa ora promotore di questa campagna di informazione e riforma del Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), aperta al contributo intellettuale di chi interessato o coinvolto nelle procedure relative, che sollevano troppo spesso importanti problematiche di libertà e violazione dei diritti umani.

Dal link appena messo si può scaricare gratuitamente il pdf con l’informazione e lo stato attuale della proposta.

Da parte mia, come contributo, allego di seguito alcuni estratti inerenti alla questione presi dal seguente libro, un programma politico ispirato ai diritti umani.

Buona lettura.

[…] Una nuova politica ispirata ai diritti umani è quindi necessaria anche per riformare le modalità con cui lo Stato tende ad occuparsi di quei soggetti la cui forza ed integrità mentali vengano meno.

Credo sia quindi opportuno verificare la possibilità di dover correggere l’articolo 32 della Costituzione italiana che lascia troppa libertà alla legge di nuocere a determinati soggetti, come ci insegna l’esperienza dei trattamenti sanitari obbligatori.

Si sostiene quindi con convinzione l’appello formulato dal Comitato sui Diritti delle Persone con Disabilità (CRPD) ad abbandonare l’uso della coercizione psichiatrica.

Tale pratica è stigmatizzata anche dall’ultimo rapporto sul contenimento del marzo 2016 di Human Rights Watch, ispirato dal recente comunicato della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

Si intende inoltre accogliere le ormai numerose e crescenti istanze che giungono da svariati ambiti umanistici, culturali e scientifici non soggetti alle lusinghe dell’industria, che affermano come sia errato e pericoloso trattare con qualsiasi farmaco le cosiddette “patologie psichiatriche”. Tali “patologie”, di cui peraltro se ne discute vivacemente la definizione e la relativa catalogazione, non hanno origine biologica e non sono riconducibili al preteso e discutibile “squilibrio biochimico del cervello”.

Si intende chiaramente ricevere qui la deduzione che i meccanismi biochimici e somatici connessi al disagio mentale siano una conseguenza, non la causa, di eventuali squilibri di altra natura appartenenti alla sfera intima mentale, comportamentale, sociale e relazionale della persona.

Si intende perciò affermare con forza l’inutile e nocivo intervento sull’organo cerebrale – per non parlare della “terapia” a base di elettroshock mai veramente abolita – considerando soprattutto l’enorme plasticità di questo organo, anche generata interessandosi a nuove attività ed input di ordine comportamentale, cognitivo e culturale, come confermato da varie osservazioni e ricerche.

Si intende quindi distinguere in maniera assoluta l’aspetto emotivo e mentale che dovrebbe tornare ad essere di esclusiva competenza del variegato e non necessariamente laico ambito umanistico, dalle vere patologie di ordine neurologico attinenti al campo medico.

Incasellare emozioni e comportamenti in massificanti categorie psichiatriche viola il metodo scientifico e, come troppo spesso la storia delle pratiche psichiatriche dimostra, deontologia medica e diritti umani.

La posizione  di “controllo e garanzia” che il diritto attribuisce allo psichiatra andrebbe certamente rivista […] anche per accogliere le ormai numerose denunce delle associazioni per i diritti umani che operano nel campo del mentale.

L’operato psichiatrico è oggetto da sempre di attenzione da parte di chi ha a cuore i diritti dei più deboli ed ha accumulato una quantità gigantesca di rapporti, reati, violazioni di ordine deontologico e dei diritti dei pazienti.

Le scienze con il prefisso “psico” hanno seri problemi di natura teorica, filosofica e scientifica, pertanto i ruoli degli operatori necessitano di urgente revisione per quanto riguarda l’ambito pubblico. […]

Nel campo della sanità dovrebbe essere ripristinato il valore della più pura deontologia medica, con un vero contrasto per quelle pratiche che comportino violazioni di diritti e integrità personali, della salute psico-fisica, della libertà del cittadino di scegliersi il tipo di cura. Inoltre, per contrastare obbligatorietà non corroborate da fatti o comunque amministrate senza considerare le specificità di ogni persona, si intende sganciare nettamente la sanità dagli interessi farmaceutici privati.

L’ambito dell’aiuto a persone con problemi di ordine mentale andrebbe liberato da ogni pratica psichiatrica restrittiva dei diritti del malato e ricondotto nell’alveo della medicina tradizionale anche assistita, su richiesta, dagli altri ambiti umanistici, perfino non laici e da tutte le esperienze di successo della società civile che riescano a contenere il disagio senza psicofarmaci od altre pratiche anestetizzanti e coercitive.

La rinnovata Sanità dovrebbe pretendere dagli operatori del settore il perseguimento dei seguenti obiettivi: il massimo rispetto dei Diritti Umani, con il minor livello possibile di forza ed invasività di qualsivoglia natura nella sfera intima del soggetto.

Occorre porsi l’obiettivo di far raggiungere alla persona con “problemi mentali” una condizione di ritorno ad una tranquillità relativa, tale da poter nuovamente usare in maniera autodeterminata le sue forze e capacità intellettuali per accogliere e giovarsi dell’aiuto offerto e di nuove conoscenze.

La rinnovata deontologia dovrebbe perciò ripristinare, partendo dagli operatori del settore, il rispetto della sanità fisica e mentale di ogni paziente. Non si dovrebbero somministrate cure per “patologie” di dubbia natura organica o pratiche inutili, dannose e, in ogni caso, senza un suo evidente e indispensabile consenso informato.

[…] il medico non dovrebbe più essere attore-esecutore di misure di contenzione appartenenti alla sfera ed all’amministrazione della giustizia.

Le rare pratiche di contenzione, ove necessarie per proteggere il paziente da sé stesso e gli altri, dovrebbero essere rivedute completamente in sede tecnica e giurisprudenziale. L’obiettivo sarebbe quello di esercitare la minor forza per il minor tempo possibile, senza degenerare in violenza e nelle odierne reclusioni coercitive e ottundenti le facoltà, i diritti e la dignità del paziente.

A tale scopo il Ministero della Sanità si dovrebbe impegnare a dialogare ed eventualmente dotarsi della collaborazione e del know-how di tutti i soggetti appartenenti alla cultura umanistica, alla società civile ed al mondo del volontariato che abbiano dimostrato di saper affrontare varie tipologie di disagio con successo. […]

Nell’ottica di quanto appena espresso e con la consulenza dei soggetti appena elencati, il Ministero della Pubblica Istruzione si potrebbe attivare per istituire un nuovo percorso di studio per una figura alternativa allo psichiatra ed agli attuali operatori del settore. La nuova figura professionale svilupperebbe una competenza interdisciplinare comprendente un completo ventaglio di risposte mediche, alimentari, comportamentali e culturali, tendente ad operare con lo spirito umanistico e non violento proprio della deontologia medica.

 

14 agosto 2018

Immagine: Flickr e il mio libro, un programma politico ispirato ai diritti umani

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