Questo articolo rappresenta anche una lettera aperta alla Confederazione di Sovranità Popolare, intesa a rinnovare la sua “missione” federatrice delle forze “costituzionaliste” del Paese
Credo che la questione posta all’Umanità intera dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani non sia ancora compresa nella sua interezza, nonostante i 72 anni trascorsi dalla sua promulgazione.
Quel semplice pezzo di carta, di fatto rappresentava una vera e propria sfida: l’uomo sintetizzava dalla sua stessa storia quei valori universali con i quali intendeva riconoscersi, ponendoli ad architrave dell’auspicato futuro di pace e concordia, fra le Nazioni e all’interno delle stesse.
Credo che, a ben vedere, i 30 diritti dell’uomo siano l’unica, possibile “struttura giuridica”, in grado di sorreggere in modo creativo tutte le diversità, nella reciproca dignità.
Le vicende relative alle dinamiche socio-politiche e la storia del pensiero stesso, hanno quindi concorso alla sintesi operata con i 30 diritti per fare della Dichiarazione universale il potenziale punto di svolta e liberare l’Umanità, almeno nelle dinamiche sociali, dalle sue stesse contraddizioni.
Questi valori, nonostante l’indubbio carattere ideale, avevano quindi un alto significato pragmatico: la comunità si dotava, in modo consapevole, di “strumenti” atti a favorire la promulgazione di leggi e trattati con l’intento, come “proclamato” nello stesso Preambolo della Dichiarazione Universale, di farne […] l’ideale comune da raggiungere da tutti i popoli e da tutte le nazioni affinché tutti gli individui e tutti gli organi della società, tenendo sempre presente allo spirito tale dichiarazione, si sforzino, attraverso l’insegnamento e l’educazione, di sviluppare il rispetto di tali diritti e libertà e di assicurarne, attraverso misure progressive di ordine nazionale e internazionale, il riconoscimento e la applicazione universale ed effettiva, sia fra le popolazioni degli Stati-Membri stessi, sia fra quelle dei territori riposti sotto la loro giurisdizione.
L’evidente appello ad un pragmatismo politico ha dato molti frutti, anche anticipati, come nel caso della Costituzione Italiana che già risentiva di ciò che di lì a pochi mesi si sarebbe messo su carta in sede ONU e che inseriva mirabilmente già all’Articolo 2: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Altri frutti della Dichiarazione universale li abbiamo nelle numerose sottoscrizioni da parte di un gran numero di Paesi, che hanno accettato di farsi carico della sua applicazione in svariate convenzioni giuridiche:
– Convenzione sullo status dei rifugiati (1951)
– Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (1965)
– Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966)
– Protocollo relativo allo status di rifugiato (1967)
– Convenzione americana sui diritti umani (1969)
– Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (1979)
– Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (1984)
– Dichiarazione sul diritto allo sviluppo (1986)
– Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (1989)
– Carta Sociale Europea (riveduta) (1996)
– Dichiarazione universale sul genoma umano e i diritti umani (1997)
– Dichiarazione Universale sulla bioetica e i diritti umani (2005)
– Convenzione internazionale sui diritti delle persone con disabilità (2006).
Questo enorme lavoro denota proprio la vivacità del “diritto”, e l’implicita affermazione della speranza che sottende alla stessa modernità: l’idea che le “fratture” umane e sociali possano essere “composte” tramite il diritto stesso.
Quanto appena affermato è di fatto alla base della concezione del moderno Stato di diritto: non più istituzionalizzazione di rapporti di forza e potere, ancora retaggio di vecchie, diverse, ma non più sopportabili divisioni sociali, ma espressione dell’intera società civile tramite il riconoscimento giuridico dei diritti di tutti.
Vediamo un estratto dall’Enciclopedia Treccani:
[…] Lo S. di d. è uno Stato limitato e garantista, per la difesa dei diritti dei cittadini: pertanto si fonda sia sulla separazione dei poteri legislativo, giudiziario e amministrativo (gli ultimi due autonomi, ma subordinati alla legge) sia sulla coscienza che solo il diritto può dare alla società stabilità e ordine, con le sue norme chiare e certe, generali e astratte (e quindi impersonali), un diritto sempre subordinato a quella legge fondamentale che è espressa dalla costituzione. È un diritto concepito per una lunga durata, perché deve garantire ai singoli la prevedibilità delle conseguenze delle proprie azioni […].
La completa trattazione dell’enciclopedia qui citata non nasconde certo problematicità storiche, precedenti (sovrani direttamente creatori degli ordinamenti giuridici) e successive alla sua affermazione (Stato sociale), che esulano comunque dallo scopo di questo documento.
La definizione appena letta è rivelatrice della forza ideale del moderno Stato, delle possibili problematiche e a ben vedere della sfida posta dalla storia alla politica stessa: trovare il punto di equilibrio fra le due esigenze di uno Stato che deve essere insieme “limitato”, ma “garantista”, capace cioè di difendere i diritti dei cittadini.
A ben vedere, la definizione esprime anche la soluzione “necessaria” alla ricerca del punto di equilibrio: il fatto che il diritto, in questo Stato, debba essere sempre “subordinato a quella legge fondamentale che è espressa dalla costituzione”.
E qui ritorniamo ai diritti umani: visto che sono alla base, anzi, sono i diritti di ogni cittadino, diventano non solo l’anima della Costituzione che li “incarna”, ma faro e paradigma del diritto stesso.
Oltre alla volontà politica volta a una loro puntuale attuazione, credo che la storia abbia anche dimostrato quanto sarebbe stato necessario un passo in più da parte delle istituzioni e delle società civili, ossia la denuncia dei reali fattori che avrebbero reso precari gli stessi ideali di pace, tolleranza e giustizia: se non dichiarati e isolati avrebbero impedito, com’è di fatto avvenuto, che la Dichiarazione universale fosse applicata nella sua interezza, senza gli evidenti squilibri dovuti ad una parziale svalutazione di alcuni dei 30 articoli, ritenuti evidentemente e impropriamente meno importanti di altri.
Per non parlare dell’inopportuna giustificazione per atti militari di presunta “giustizia” internazionale, ricercata impropriamente nei diritti umani.
E non possiamo non menzionare l’odierna “accentuazione” o pretesa ri-scrittura di alcuni diritti, da parte di associazioni e poteri non sempre trasparenti: un’azione in effetti del tutto immotivata, tesa a ottenere sostegno per diritti “particolari”, ma demolendo di fatto anche un’istituzione naturale come la famiglia, appunto riconosciuta dalla Dichiarazione Universale; tutto questo, addirittura, con la pretesa di cancellare la libertà di espressione su alcuni soggetti, anche se non intesa a un’offesa diretta.
Ancor più precisamente: se ben compresa, la risultanza di molte tendenze culturali e tecnocratiche oggi pubblicizzate da media e politica mainstream, che si vogliono pretenziosamente giustificare con i diritti umani, nasconde una reale riduzione della persona a “oggetto”, in mano a corporazioni private e stati profondi, definitivamente non più soggetti al controllo del cittadino.
Quanto appena accennato contribuisce a mistificare il vero messaggio dei diritti umani: la Dichiarazione universale protegge realmente qualsiasi diversità in un efficace equilibrio di dignità, libertà e responsabilità per tutti, e può contribuire a instaurare un diritto equilibrato capace di creare un vero mondo di pace, a patto che sia assunta sinceramente e completamente nell’agenda politica delle Nazioni e nelle relative giurisprudenze.
Le contraddizioni, le ipocrisie e le manovre che si compiono piegando i diritti dell’uomo a interessi privati e di potere, sporcano agli occhi di molti il loro vero valore contribuendo all’incertezza ed all’insofferenza verso una politica incapace di reali risposte alle esigenze delle società civili.
Lo scopo di questa lunga esposizione introduttiva, era quello di mostrare le reali difficoltà della politica contemporanea, che la vedono in mezzo a un guado malfermo e insidioso: o riuscirà a riappropriarsi della sua reale sfera d’azione e del rapporto con i cittadini o cadrà definitivamente nelle spire di un potere elitario, che già l’ha quasi definitivamente strangolata.
Logge, famiglie, corporazioni e stati profondi detengono le più importanti leve attraverso cui condizionare la politica dei popoli, ormai quasi del tutto asservita ai loro voleri: finanza, media, tecnica ed istituzioni culturali sono ormai praticamente sottomesse ai reali “poteri forti”.
Questa situazione, a ben vedere, dovrebbe portare la “politica alternativa” al mainstream a due sole necessarie conclusioni: la prima, sarebbe chiaramente quella di unirsi sotto le insegne massimamente inclusive dei diritti umani e delle rispettive costituzioni; la seconda, collegata alla prima, quella di dover necessariamente riversare una parte consistente dell’attività politica nel campo del diritto, per elaborare programmi operativi di liberazione e restaurazione dello Stato di diritto stesso, nei vari settori del vivere civile.
Ciò richiede un diverso sforzo da parte delle varie organizzazioni: oltre all’opera unificatrice a cui sono chiamate, a mio parere dovrebbero progettare i percorsi per ridare alla politica il primato intellettuale e di partecipazione collettiva, anche negli ambiti che ha erroneamente abbandonato o che getta facilmente nelle mani delle varie “tecnicalità”, spacciate come “neutrali” e “indiscutibili”.
Credo che gli enormi effetti di quanto appena osservato si siano potuti vedere, in tutta la drammaticità, proprio con l’“emergenza sanitaria” e con tutto ciò che da questa il “sistema” sta costruendo.
Da troppo tempo si è dimenticato che la politica e solo la politica è autorizzata a determinare il terreno giuridico entro il quale la società civile e le sue forze possano sintetizzare la loro azione, all’ombra cioè di un “diritto umanistico” capace di proteggere l’uomo stesso da manovre e forze che tendono ad asservirlo.
Purtroppo, la politica alternativa si trova fortemente divisa in mille rivoli, fazioni e movimenti che, pur confrontandosi e a volte collaborando a varie iniziative, restano divise e refrattarie a ogni appello unitario.
Questo anche in presenza di soggetti come la Confederazione di Sovranità Popolare (CSP), alla quale mi rivolgo direttamente con questo documento, tesi a costruire spazi di crescita, collaborazione ed incontro.
Dato che l’attività della CSP prevede di fornire vari tipi di assistenze e servizi alla società civile interessata ed impegnata nella riscoperta e nell’attuazione della Costituzione, propongo che la CSP stessa si spenda anche in un nuovo progetto, che andrò di seguito ad esporre.
Se consideriamo l’introduzione di questo documento, non possiamo non desumere l’oggettivo disordine in cui versano gli ambiti della politica e del diritto, una confusione che si riflette su una società civile evidentemente frustrata e/o cinicamente distratta.
Oltre alle sue normali attività, CSP potrebbe operarsi per esprimere un nuovo e particolare servizio alla società civile e alla stessa politica, non solo alternativa, che potrebbe sortire vari effetti positivi: contribuire a far comprendere gli squilibri del diritto in rapporto alle sue principali “fonti”, Costituzione e diritti umani, le problematiche nel sempre più complesso e sempre meno diretto rapporto fra Istituzioni e società civile, i reali problemi di uno Stato di diritto in grave “crisi esistenziale”.
L’attività che ho in mente sarebbe la seguente: CSP inizia a stilare periodicamente un “Bollettino di Sovranità, Diritto e Democrazia”, in cui esprime la sua “valutazione” socio-politico-giuridica su ambiti come ad esempio leggi, progetti di legge e di riforma, politiche, azioni di governo, politiche e accordi internazionali, le diverse istituzioni e tutto quanto abbia a che fare con la politica e le varie espressioni del vivere civile.
Tali valutazioni potrebbero anche essere espresse sinteticamente con “voti” o “indici”, come ad esempio per quanto accade con le Agenzie di Rating per il mondo della finanza (sorvoliamo qui tutte le problematiche di tali agenzie finanziare riguardo i loro conflitti di interessi ed altre; mi servivano solo come esempio).
Coerentemente con il nome del bollettino, tali valutazioni riguarderebbero in sostanza tre aspetti: la prima, sulla “sovranità”, sarebbe intesa a mostrare il rapporto e l’azione che il soggetto preso in esame, ad esempio una legge, possa incidere sulla reale sovranità del Paese.
La seconda valutazione, sul “diritto”, potrebbe mostrare eventuali criticità in relazione al fatto che ogni legge e atto politico-amministrativo debba essere costituzionalmente orientato.
La terza valutazione, relativa alla “democrazia”, sarebbe intesa a saggiare quanto l’oggetto analizzato favorisca o neghi qualche democraticità (le valutazioni potrebbero anche essere parziali, ove non fossero interessati tutti e tre gli aspetti).
I parametri delle valutazioni sarebbero necessariamente “calibrati” in base a Costituzione e diritti dell’uomo, al necessario orientamento del diritto a questi.
In sostanza, la valutazione saggerebbe il grado di “coerenza” o di “distacco” dell’oggetto preso in esame dai valori suddetti, espresso in parametri ben precisi, che potrebbe essere denominata, ad esempio, come “Indice SDD”.
Tali valutazioni, sarebbero redatte in modo quanto più possibile politicamente “neutro” rispetto alle formazioni e agli schieramenti che appoggiano l’oggetto in questione; solo nel momento in cui si spiega la valutazione e si risponde alle possibili obiezioni, si potrebbe a seconda dei casi entrare in alcune valutazioni sulla parte politica in questione e sulla sua storia legislativa, anche per indicarne coerenze o novità, se necessario a far meglio comprendere la valutazione stessa.
Le valutazioni sarebbero certamente legate all’attualità, ma potrebbero anche guardare a fatti e aspetti del passato: un’apposita rubrica che possa servire da esempio e ulteriore definizione dei parametri e dell’ottica espressa dal “Bollettino”.
Credo che un bollettino del genere, se ben realizzato ed argomentato, possa sortire molti effetti positivi: intanto quello di spostare il focus della politica dal distraente e spettacolarizzato show che ne fanno i media, centrando le reali questioni e i veri interessi della società civile.
In sostanza, il bollettino avrebbe un generale effetto “educativo” riguardo a come ci si possa approcciare più analiticamente alla politica, dato che di fatto insegnerebbe a guardare la reale sostanza dei problemi, favorendo il necessario “discernimento” fra i reali effetti dell’oggetto preso in questione e gli slogan o le narrazioni che lo sostengono.
L’effetto “educativo” potrebbe anche favorire le istanze aggregatrici all’interno della “politica alternativa”: la chiarificazione analitica di molte questioni favorita dal bollettino, potrebbe operare una “semplificazione” delle posizioni del suo elettorato, che potrebbe diventare sempre meno incline a divisioni che esulano dalla reale sostanza delle cose.
Credo che questo progetto sia completamente in linea con gli scopi della CSP e con la necessità che la politica alternativa abbia tutti gli aiuti possibili nella potenziale opera riformatrice, costituzionalmente e umanisticamente orientata.
6 agosto 2020
qui il mio libro, un programma politico ispirato ai diritti umani
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