di Lanfranco Caminiti
Il piano Solo del generale De Lorenzo prevedeva la presa del potere da parte dei carabinieri e l’arresto di comunisti e socialisti
L’evolversi della vicenda Consip – «Dottoressa, lei, se vuole, ha una bomba in mano. Lei può far esplodere la bomba. Scoppierà un casino. Arriviamo a Renzi» – e cioè l’intervento diretto dei carabinieri nella vita politica del paese fa ricordare quando avvenne l’ultima volta. «President Segni aware this plan». È una frase contenuta nel telegramma inviato dal Comando generale delle Forze armate USA nell’Europa meridionale al comandante delle Forze armate USA in Europa, Verona, 26 giugno 1964. Un documento declassificato solo da qualche anno.
Il Presidente Segni è a conoscenza di questo piano. Il “piano” era che se la sinistra comunista fosse scesa in piazza, organizzando scioperi e manifestazioni contro una deriva reazionaria, allora loro, i Carabinieri, sarebbero intervenuti e avrebbero assunto il potere per mantenere l’ordine e la democrazia. Della polizia e di altre forze era meglio non fidarsi. Solo i carabinieri erano sicuri. Era il Piano Solo.
Un piano che prevedeva l’ «enucleazione» di settecentotrentuno persone – sindacalisti, politici, militanti – da portare in una località protetta della Sardegna, un campo d’addestramento dei carabinieri, scelte sulla base dei dossier del SIFAR, il servizio d’informazione di cui era stato a capo de Lorenzo.
Il generale de Lorenzo, comandante dell’Arma, era ossessionato dalla formidabile macchina organizzativa dei comunisti, dalla loro capacità di infiltrarsi e costruire cellule in ogni ganglio dello Stato, dal loro reclutamento, dalla loro propaganda, dalla loro “tattica degli scandali”. Perfino la scuola di partito delle Frattocchie lo mandava ai matti, e cercava di saperne sempre di più. In realtà, le cose non erano proprio in questo modo, i comunisti non erano all’offensiva, anzi. Il segretario della CGIL Novella aveva detto: «Nelle grandi aziende monopoliste la reazione operaia ai licenziamenti e alle riduzioni di orario è debole».
Tutto era cominciato nel dicembre del 1963, quando si era formato il primo governo di centro-sinistra, presidente del Consiglio Aldo Moro e vicepresidente Pietro Nenni. Democristiani e socialisti hanno stretto un’alleanza di governo. «l’Avanti» titola: “Da oggi ognuno è più libero”. Ci sono grandi aspettative, la scuola, la sanità, l’urbanistica, la programmazione economica, le “riforme di struttura”. I socialisti spingono sul tasto riformista e i democristiani su quello moderato. Nella DC prende consistenza un coagulo conservatore e a guidarlo c’è proprio il presidente della Repubblica, Segni, che pure a Moro doveva tanto, anche l’elezione alla presidenza. Il 26 giugno del 1964, Moro rassegna le dimissioni.
Segni vorrebbe affidare il governo a un esponente del la destra DC ( Scelba, Pella o Leone) o a una personalità tecnica come Merzagora; Moro, intanto, cerca di convincere i quattro partiti della coalizione a pronunciarsi compatti sul suo nome, in modo da obbligare Segni a conferirgli l’incarico. Sul Corriere della Sera appare questo editoriale: «Abbiamo bisogno d’un governo d’emergenza per una situazione d’emergenza».
Ma non ci sono alternative e a nessuno passa per l’anticamera del cervello di sciogliere le Camere e indire nuove elezioni. Il pallino con l’incarico di formare il nuovo governo torna a Moro. Seguono tre settimane di trattative difficili tra socialisti e democristiani. Sono le tre settimane che poi Nenni definirà quelle del periodo del “tintinnar di sciabole”.
All’apertura della crisi di governo, i comunisti denunciano che «gruppi apertamente reazionari approfittano delle attuali difficoltà per rivolgere un attacco contro le istituzioni democratiche e repubblicane, e in questo modo preparare le condizioni dell’avvento di un regime autoritario». Segue invito alla più grande vigilanza per e forze democratiche, le masse popolari e le organizzazioni della classe operaia. Il 3 luglio, una mobilitazione nazionale raduna a piazza San Giovanni circa centomila persone, convenute per ascoltare Giorgio Amendola e Palmiro Togliatti. E Togliatti dice: «In Italia la via per qualunque involuzione reazionaria è sbarrata; chi volesse attentare alla nostra libertà sappia che non ci sono speranze». La manifestazione, inquadrata da un servizio d’ordine di circa tremila militanti del PCI, si svolge tranquillamente e non dà luogo a nessun incidente.
Il 18 luglio l’accordo è faticosamente raggiunto. Moro è di nuovo presidente del Consiglio. È un notevole passo indietro sui programmi del precedente governo. Riccardo Lombardi lascia la direzione dell’ «Avanti» e il socialista lombardiano Antonio Giolitti, autore del piano di programmazione economica, rifiuta di partecipare al nuovo governo. Il centro- sinistra è rientrato all’ordine.
Del “Piano Solo” si persero le tracce, ma qualche anno dopo, nel 1967, fu giornalisticamente “svelato” su «l’Espresso» da Scalfari e Jannuzzi. Un generale dei carabinieri, de Lorenzo, che ordisce contro quella repubblica che dovrebbe custodire. Perché a quello sono “destinati” i carabinieri: «nei secoli fedele», a chi obbedire, a chi essere fedele? All’istituzione, all’ordinamento sociale, e se è la repubblica alla repubblica.
Così, quasi non riesci a credere che dei carabinieri fabbrichino con le proprie mani “una bomba” da mettere nelle mani di un giudice perché la faccia esplodere contro la presidenza del Consiglio.
Ora, con tutto il rispetto per il maggiore Scafarto, è lecito chiedersi: a chi era fedele? A chi ubbidiva, tacendo? Chi è il “grande vecchio”?
Tratto da:
https://www.ildubbio.news/2017/09/16/1964-quel-tintinnar-sciabole-piego-socialisti/
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