LA QUESTIONE DELLA REALTÀ È FONDAMENTALE PER CAPIRE IL NOSTRO ESSERE

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Accontentarsi del materialismo elude la responsabilità e la possibilità di comprendere la dimensione del nostro essere.

 

Di Massimo Franceschini

 

Pubblicato anche su Sfero, Ovidio Network

 

Come promesso nel precedente articolo in cui affrontavo la questione “coscienza”, siamo ora alla questione “realtà”, un vecchio interesse che ho recentemente ripreso qui all’interno di una critica al materialismo, in questo seguente sulla necessità di riscoprire lo spirito, poi qui parlando ancora dell’assolutismo materialista e più propriamente in questa riflessione sulla dualità dell’esistenza.

Per riassumere: penso che la nostra natura sia spirituale in quanto ritengo che il corpo e la natura nel suo complesso siano impossibilitati a sviluppare un ente con la nostra capacità di pensiero e creazione, potendone solo essere provvisori “dimora” e habitat.

Il fatto di appartenere fondamentalmente a una diversa realtà, una dimensione che trascende quella materiale e la nostra esperienza in questo universo, ci fa vivere una dualità che, se non riconosciuta, nel precedente articolo affermavo provocare quanto riporto di seguito.

La dualità appare quindi come condizione imprescindibile del vivere in una realtà materiale fatta di quantità misurabili o comprensibili. Una volta che la decisione di accedere a tale dimensione è dimenticata, rimossa o negata alla consapevolezza, evidentemente uno dei processi per rendere possibile che uno spirito decida di “rinchiudersi” continuamente in un corpo, l’esperienza di vivere in una tale dimensione diventa così un mero “sopravvivere” nel corpo e per il corpo stesso.

Riguardo alla realtà, subito una precisazione doverosa su due delle accezioni relative al suo concetto: una ovviamente è quella più oggettiva, la realtà materiale, l’universo fisico; l’altra è quella soggettiva, diversa da persona a persona.

Sappiamo infatti che il punto di vista individuale dovuto alla personalità, al pensiero e allo stato emotivo, può far sperimentare a ognuno una diversa realtà: sappiamo che una giornata può apparirci meravigliosa o nefasta in maniera esclusivamente dipendente dal nostro stato emotivo.

Oltre a questo, in modo più profondo, la realtà è anche e sostanzialmente un accordo fra le persone, fra gli esseri spirituali: siamo tutti d’accordo di vivere in questa realtà che però vediamo, interpretiamo e sperimentiamo dal nostro punto di vista soggettivo.

Tale problematica interseca necessariamente quello della “verità” e in questo recente articolo cercavo di chiarire il mio punto di vista su alcune questioni di metodo.

Cercando di tirare le fila fra realtà, verità e coscienza, mi pare non si possa far altro che ammettere come la nostra considerazione sulla realtà sia dirimente, un ambito che vede in sostanza due macro divisioni: da una parte c’è chi pensa che la realtà sia un prodotto, una creazione, un effetto di un’altra dimensione creatrice, che molti chiamano Dio; dall’altra parte c’è chi pensa che questa sia la sola realtà esistente, che l’universo o almeno le forze e le energie latenti da cui sarebbe nato esistano da sempre e che, di conseguenza, lo stesso universo fisico abbia originato il pensiero.

Questo secondo “schieramento” ha varianti multidimensionali e probabilistiche.

Anche se personalmente mi ritrovo nella prima concezione, chiamata “creazionista”, generalmente non parlo di Dio ritenendolo un ente difficile da “comprendere” precisamente in quanto la dimensione creatrice trascende la nostra; difficile da definire quindi, almeno finché restiamo nella dimensione materiale: preferisco parlare di dimensione creatrice di puro spirito e pensiero, dove per “puro” intendo immateriale, soprannaturale, metafisico, appunto trascendente perché non composto da materia, energia, spazio e tempo, ma dotato di volontà e capacità creative assolute.

Ci sarebbe poi la “terza via” agnostica, di quelli che non escludono nulla e che ammettono la possibilità di qualsiasi visione affermando però, allo stesso tempo, un’impossibilità di poter dirimere la questione in quanto ritengono sia velleitario da parte dell’uomo pretendere di avere questo tipo di comprensione o qualsiasi certezza in merito.

Da parte mia non condivido tale posizione in quanto pone un limite alla conoscenza e alla considerazione del nostro essere, una visione che di fatto definisce l’uomo come essere esclusivamente biologico, appoggiando così il materialismo: questo perché se fossimo esseri spirituali calati nella dimensione materiale, ma “appartenenti” alla dimensione creatrice, sarebbe secondo me assai problematico stabilire una nostra assoluta incapacità di comprendere/ricordare tutto, inclusa l’origine dell’universo e della nostra specie.

A ben vedere, tale capacità è da sempre coltivata e ricercata dalla filosofia, nella religione, volendo anche dalla psicologia almeno fino a quando non ha deciso di tradire la sua radice “psiche”; una ricerca che un forte movimento antireligioso vorrebbe in qualche modo fermare, in accordo con tutti gli interessi che traggono potere e profitto dal mantenere l’ambito della psiche soggiogato al materialismo e alla chimica.

Ad ogni modo, più generalmente, ritengo certamente che tale possibilità del pensiero sia ostacolata da una profonda “immersione” culturale, intellettuale e spirituale nell’universo fisico, un coinvolgimento così profondo da diventare appunto “materialismo”: mi pare che la realtà dei nostri giorni dimostri ampiamente ciò, ma non potrei mai sostenere una netta impossibilità di consapevolezza superiore da parte dell’essere, ovviamente se coltivata adeguatamente.

Postulare questa presunta incapacità, ascrive di fatto l’uomo ad essere puramente biologico, al pari degli animali.

Questo “declassamento” dell’essere umano, insieme alla “diagnosi” di una sua costitutiva incapacità di conoscenza, mi paiono del tutto assurde a fronte dell’oggettiva singolarità del nostro essere e pensiero.

Tornando alla questione realtà, dobbiamo quindi “decidere” se ve ne è solo una, quella materiale dell’universo fisico, oppure se abbiamo una dualità data da una realtà immateriale trascendente di puro spirito e pensiero, preesistente all’universo fisico ed eterna perché fuori dal tempo, che avrebbe necessariamente l’abilità di creare tutto, comprese dimensioni intere, interi universi.

La fisica moderna, impregnata di materialismo, non ci aiuta certo sulla questione, contribuendo in effetti a confonderla.

Prendiamo ad esempio Stephen Hawking, che nel suo libro più famoso, Dal Big Bang ai buchi neri afferma: “Finché l’universo ha avuto un inizio, noi possiamo sempre supporre che abbia avuto un creatore. Ma se l’universo è davvero autosufficiente e racchiuso in se stesso, senza un confine o un margine, non dovrebbe avere né un principio né una fine: esso, semplicemente, sarebbe. Ci sarebbe ancora posto, in tal caso, per un creatore?”.

Il fatto che lui consideri l’universo autosufficiente deriva da studi, ipotesi e formule assai difficili da comprendere per un non addetto ai lavori, ma che a mio modo di vedere non possono superare la questione seguente: dato che l’universo è caratterizzato da movimento e che ogni movimento ha necessariamente un ciclo fondamentale di causa-effetto, pur declinato su vari piani e nelle infinite possibili variabili, escludere una causa prima per l’universo stesso a me pare assai azzardato.

Riguardo all’idea che non ci sarebbe tempo per collocare questa causa prima e un momento per la sua creazione, dato che esistendo da sempre ed essendo infinito l’universo non lascerebbe altro spazio, altra energia, altra materia e altro tempo per essere e fare qualsiasi altra cosa, credo occorra mettere un punto chiaro sulla questione tempo: intanto diciamo subito che il tempo “è” perché esiste qualcosa che continua ad esistere, appunto la materia e l’energia in uno spazio, rendendolo misurabile; ma oltre a questo, il tempo testimonia la manifestazione della volontà creatrice trascendente, che ha inteso far durare energia e materia oltre il momento della creazione, rendendole disponibili al mutamento, al divenire e alla loro misurazione.

Quindi, anche prendendo per buono che l’universo non abbia un confine o un margine, ciò dimostrerebbe la sola sua esistenza e l’inesistenza di altro, l’assenza di “spazio” per qualsiasi altra cosa, almeno in questa dimensione, ma in ogni caso, tali considerazioni come possono eliminare una causa precedente e necessaria alla sua esistenza e la possibilità di altre dimensioni completamente diverse da quella materiale, includendo ovviamente quella dello spirito e del suo pensiero creatore delle altre dimensioni?

Possono farlo negando l’esistenza di una causa, come se tale questione sia trascurabile, ma negando soprattutto la possibilità del trascendente, di una dimensione del pensiero creatrice e separata da quella materiale, cosa che l’uomo ha invece postulato da sempre.

Questo è materialismo, nella sua più totalizzante accezione.

Un “totalitarismo” che di fatto mi pare si tenda ad attribuire a Parmenide, in quanto afferma categoricamente che “ciò che è non è possibile che non sia”, intendendo con ciò anche definire illusorio qualsiasi cambiamento, qualsiasi divenire dell’essere che lo porrebbe in contraddizione perché “il non essere è necessario che non sia”, concetto che sviluppato da Severino diventa necessariamente l’idea che ogni ente sarebbe eterno.

Questa assolutizzazione e non differenziazione di ogni ente, questa pretesa che di fatto taglia le questioni della causa, del perché e dell’inizio a me pare “fantastica”, quasi “anti-filosofica”.

Se Parmenide avesse chiaramente attribuito le caratteristiche dell’essere solo alla sua dimensione, che è trascendente quella materiale, penso sarebbe stato più corretto in quanto la dimensione trascendente, proprio perché immateriale, non ha in effetti quantità di sorta e posizioni, è “statica”, usando un termine improprio, anche se efficace, mentre nella dimensione materiale niente lo è: la dimensione creatrice ha “solo” tutte le potenzialità creatrici, tutto il logos, dal quale e con il quale crea.

Fortunatamente, alla “sistemazione” delle idee parmenidee mi pare abbiano provveduto alcuni suoi successori, in primis Platone e Aristotele; purtroppo l’evoluzione tecno-scientifica ha evidentemente dato nuova linfa vitale al materialismo.

A questo punto direi però un’altra cosa: visto che l’uomo ha da sempre definito il trascendente come divino, assoluto, infinito ed eterno, perché non ammettiamo chiaramente che grazie al materialismo, che sarebbe una nuova religione, il nuovo “dio” è diventato l’universo fisico e che possiamo chiamare lo scientismo oggi imperante, che sarebbe materialismo travestito da “scienza”, il suo credo?

Credo che in effetti sia proprio così: l’uomo della modernità ha eletto il materialismo a religione suprema, con la pretesa di avere certezze dove prima vi sarebbero stati solo dogmi indimostrabili e indiscutibili.

Il materialismo, lo scientismo, la psichiatria e le neuroscienze hanno fatto di tutto per ridurre il pensiero al livello della materia e lo hanno fatto in un modo così profondo, capace di ridurci ad un livello in cui non riusciamo più a comprendere come ogni nostro sguardo ed atto siano in effetti eventi “interdimensionali”.

Se non vogliamo arrenderci a quella che chiamo tecno-distopia, che stiamo costruendo giorno per giorno, dobbiamo assolutamente riscoprire la seguente concezione, che diventa anche etica: ogni nostro atto è carico di responsabilità estreme e profonde in quanto, prima di ogni altra cosa, è agito da esseri dotati di pensiero, esseri fondamentalmente trascendenti la realtà di materia, energia, spazio e tempo, una dimensione che senza di noi sarebbe in un certo senso inerte, automatica.

Se crediamo solo nella realtà materiale perdiamo l’essere che siamo e la responsabilità che abbiamo.

La realtà culturale, sociale e politica dei nostri tempi ne è lampante evidenza.
(AI free)

 

22 agosto 2024
fonte immagine: istruzione a Microsoft Bing

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