SOCIAL MEDIA: IL VIRUS DISTRUTTIVO DELLO SPIRITO AMICALE E ASSOCIATIVO

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Scopriamo la concausa principale dell’incapacità di relazione ed associazione dei nostri tempi, che favorisce anche l’antipolitica.

Di Massimo Franceschini

 

Pubblicato anche su Sfero, Ovidio Network

 

Ormai da quasi dieci anni ho ripreso ad occuparmi di politica, cioè da quando fui chiamato ad attivarmi in qualche modo da amici interessati a ciò che scrivo, anche associandomi in vari modi, sia sul web, sia localmente.

Tale apertura all’associazione mi ha permesso di constatare dolorosamente di prima mano, ma anche osservando esperienze di persone che ben conosco, la situazione drammatica in cui versa la “condizione associativa” al giorno d’oggi, specchio di una più generale e lontana crisi di valori evidentemente capace di condizionare grandemente anche la qualità della socialità dei nostri tempi.

Senza pretesa di svolgere chissà quale lavoro sociologico, ho comunque espresso varie analisi riguardo al tema che ho chiamato “cosa impedisce una politica alternativa”, qui in molti articoli e qui in ancor più video; credo che anche quanto leggerete ora andrà in queste serie, visto che il particolare aspetto del problema è ovviamente presente anche nell’associazionismo politico, in quanto ha una stessa concausa.

Questa concausa, come indicavo nel titolo, è rappresentata dai social media e dalla più generale “mediatizzazione dell’esistenza”, problema che per quanto riguarda la politica e l’associazionismo politico ho già affrontato qui, qui e qui.

Fermo restando che in campo umano la causa di qualsiasi accadimento è ovviamente l’uomo stesso, perché indico i social media come una concausa distruttiva per lo spirito amicale e associativo?

Per vari motivi, tutti riconducibili, in sostanza, a tre questioni principali e fondamentali: presenza, ottica sulla realtà e obiettivi.

Riguardo alla presenza, intendo proprio lo stato di essere presenti non solo fisicamente nella relazione, ma anche mentalmente, a livello di attenzione.

La necessità di questa presenza è del tutto simile a quella necessaria alla fruizione artistica, di cui parlavo qui.

Senza la necessaria presenza ed attenzione, la progressiva creazione e la prosecuzione di qualcosa inerente all’associazione, ma anche all’amicizia, può essere rallentata e ostacolata fino a scemare del tutto, dato che la costruzione ed il perseguimento di progetti e scopi è fondamentale nell’associazione, ma a ben vedere anche nell’amicizia, fossero anche solo scopi più “superficiali” di semplice frequentazione.

Ora, il problema dei social media non è solo relativo al comportamento che in primis può risultare disturbante, cioè quello di sentirsi “obbligati” alla consultazione dello smartphone ogni volta che ce ne ricordiamo o che ci pare per qualche motivo “utile” al momento, distogliendo quindi l’attenzione da chi ci è vicino e che magari sta comunicando con noi: il problema è assai più profondo in quanto coinvolge non solo la momentanea attenzione, ma tutta la realtà della persona, i suoi stessi obiettivi, come la sostanziale mancanza di questi.

Vediamo cosa intendo.

Ognuno di noi fonda il suo essere anche su ciò che apprende nei vari livelli relazionali, in ogni modalità risulti possibile.

Ora, con i social media abbiamo un’assoluta novità nella storia dell’uomo, ossia un’esplosione esponenziale di contatti, relazioni, contenuti e suggestioni varie, ad un livello prima inimmaginabile.

Tutto ciò non può essere senza conseguenze per quanto riguarda le relazioni personali e associative, dato che le persone sono di fatto “modificate” nel loro “essere presenti al momento”, nella visione delle cose e nei loro obiettivi, in quanto la dimensione socialmediatica è sempre più accattivante, coinvolgente e “dietro l’angolo”, sia a livello operativo immediato, in quanto basta un click per accedervi, sia da un punto di vista culturale, sia di “prospettiva mentale”.

Anche per chi si vanta di non avere una grande presenza nelle chat e nei social, la possibilità di “contatto” virtuale, fosse anche solo uno, cambia di fatto il punto di vista e l’approccio sul mondo e sugli altri, anche per la sola potenzialità di poter comodamente e immediatamente condividere e commentare gli accadimenti della vita con qualcuno “a portata di mano”, che magari è la persona con la quale siamo più in sintonia rispetto ad ogni altra, anche se in una dimensione virtuale.

Questo era già possibile con la telefonia mobile, ma l’accumularsi ad una velocità prima inimmaginabile dei molteplici e multifattoriali input dalla dimensione socialmediatica e la comodità di “contatto” virtuale e multimediale, sta generando un profondo cambiamento nelle “abitudini mentali” che può consistere anche in un mutamento cognitivo ed emotivo, non necessariamente auspicabile: questo perché si costringono di fatto le relazioni personali, anche se in maniera dapprima non totalmente consapevole, non esplicita e immediatamente visibile, ad una costante interazione unilaterale con una dimensione relazionale e cognitiva che è tutta nella testa del singolo, ma di fatto poco o nulla nella consapevolezza dell’altro terminale o del gruppo con cui la persona si sta relazionando.

Questo genera un particolare problema, che ingigantisce assai tutte le problematiche dei gruppi umani: se prima era comunque necessaria una forza, una consapevolezza, persino una “tempra morale” per riuscire ad avere una posizione autonoma, se non critica, quando il gruppo non risultava più in linea con il sentire e l’evolversi intellettuale e relazionale della persona, ora ciò è assai più difficile perché con i social media il minimo comun denominatore del gruppo diventa una questione così permeata da qualche tipo di “pensiero unico” a vari livelli di profondità, che è praticamente impossibile individuare i confini e le caratteristiche di tale influenza.

Tale permeabilità, permessa e veicolata dalla tecnologia di comunicazione socialmediatica, risulta così potente da porre un costante “asterisco”, uno “stato d’attesa”, una “supervisione” anticipata o a posteriori di ogni interazione umana, dato che questa di fatto è in qualche modo vagliata dal pensiero del gruppo, che è sempre più permeato da tutto ciò che comporta avere una dimensione socialmediatica.

Il tutto è così condizionato in primis dai meccanismi e dalle procedure con cui sono impostati i social media, capaci di immettere particolari caratteristiche nel pensiero di gruppo.

Tale gabbia cultural-cognitiva risulta così caratterizzata da una drammatica questione che si salda con altre caratteristiche socio-culturali del presente, formando un grande problema associativo che diventa inevitabilmente un problema cognitivo e di apparente sopravvivenza del gruppo stesso, un problema generalmente non visto, ma come vedremo addirittura favorito in quanto considerato, in maniera del tutto inopportuna, come una caratteristica di “resilienza”.

Andiamo con ordine.

Se consideriamo che le corporazioni social mediatiche operano una profilazione degli utenti, settorializzandoli in gruppi di fatto inaccessibili fra loro, capiamo che tale protocollo diventa un ostacolo alla vivacità del pensiero dei gruppi, dato che sono di fatto resi impermeabili a visioni non allineate con il loro pensiero unico dominante del momento.

Dato che nel presente abbiamo un forte decadimento culturale e un perenne senso di insicurezza dato dalla politica di “emergenzialità diffusa” con cui si caratterizza l’azione del potere dei nostri tempi, la saldatura fra tale decadenza, l’insicurezza e l’enorme facilità socialmendiatica di “contatto”, fa sì che le persone tendano ad interagire e ad associarsi con modalità quanto più “confortevoli” possibili, o almeno questo è quanto credono.

Ciò porta inevitabilmente ad un prefisso “buonista” e conformista con cui caratterizzare conoscenze ed associazioni, al fine di creare più o meno consapevolmente varie “confort zone” relazionali, al pari di quelle socialmediatiche, in cui si può addirittura arrivare a soprassedere a comportamenti scorretti di alcuni per un presunto “bene” del gruppo, che altrimenti si pensa possa essere messo in pericolo da procedure troppo “legalitarie”.

Tale modo di fare rinnega qualsiasi conoscenza o avanzamento possa arrivare dal confronto animato, persino dallo scontro, che si cerca comunque di evitare come la peste, erroneamente, proprio a causa della debolezza innestata dal decadimento e dall’insicurezza anzidette.

Ecco allora il formarsi di un pensiero e di una prassi unica dominante “anti-emotiva”, dato che ci si orienta facilmente per una censura di un certo tipo di emozioni e di espressioni, soprattutto se caratterizzate da conflittualità e indipendentemente dalle ragioni che ne possano stare alla base.

Ecco allora il crearsi di un conformismo strisciante capace di perdonare “errori” e comportamenti di fatto distruttivi del gruppo, giustificato da quello che può sembrare uno spirito di “sopravvivenza”, che al contrario favorisce persone capaci di servirsi dei gruppi per i loro fini, soggetti refrattari a qualsiasi “giurisdizione” collettiva che non sia quella rispondente ad interessi personali di qualche tipo.

Anche questa pretesa “perdonista” di non isolare o penalizzare in qualche modo i soggetti scorretti del gruppo, rappresenta un’assoluta novità nella storia dell’uomo.

Ovviamente tale andazzo distrugge comunque i gruppi a lungo andare, o li fa sopravvivere in maniera “automatica” e senza apparenti scossoni, ma con poca reale riuscita e partecipazione, perché i loro componenti si adeguano di fatto agli interessi personali dei membri in qualche modo più influenti.

A ben vedere, la discrasia che si viene spesso a creare fra l’origine, gli scopi, lo statuto, i regolamenti dei gruppi e la reale vita associativa, risulta così speculare alla situazione socio-politica dei nostri tempi dove le oligarchie capaci di indirizzare la gestione del potere riescono a far sì che la politica violi le sue stesse istituzioni e Costituzioni, con il generalizzato assenso più o meno consapevole della cosiddetta maggioranza, sempre più silenziosa e sempre più civilmente e politicamente incapace.

Per quanto sintetica, la fotografia del presente che ho appena scattato ci mostra alcune cause fondamentali dell’incapacità creativa della nostra era, una situazione dal quale appare assai difficile uscire soprattutto per il vile conformismo mediaticamente indotto dalle applicazioni di quella tecnica che, più o meno consapevolmente, abbiamo eletto a rappresentare l’ultima possibilità di redenzione dalla nostra insipienza intellettuale e spirituale.

Tutto il resto è resistenza dei singoli, strenua ed etica resistenza, che se ne frega del buonista like social-mediatico.
(AI free)

 

26 marzo 2024
fonte immagine: PICRYL, Plann

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