di Giovanni Lazzaretti
La Giustizia umana serve «a rendere a ciascuno il suo»: a ripristinare un diritto violato; a compensare in via monetaria una violazione non riparabile; a comminare pene se la violazione è grave. Serve anche a ridare il “buon nome”: la persona assolta è innocente, e come tale deve essere trattata.
I tribunali risolvono le questioni di responsabilità personale, ma non ci esimono da altri tipi di giudizio: il giudizio storico, il giudizio politico, il giudizio antropologico.
Facciamo un esempio. Ha appena compiuto 100 anni Germano Nicolini, il comandante Diavolo. Condannato nel 1949 come mandante dell’omicidio di don Pessina, nel 1994 venne poi «assolto per non aver commesso il fatto». Innocente, punto e basta.
Ma l’assoluzione personale non assolve il PCI. Siamo liberi di affermare che il Partito Comunista del 1946 era portatore di un’antropologia erronea secondo la quale la vita umana dell’avversario valeva poco.
L’assoluzione di Nicolini non cancella la morte di don Pessina. E non cancella i 3.966 morti elencati per nome nel sito triangolodellamorte.blogspot.com : non avremo la verità giudiziaria sulle 3.966 vittime, ma abbiamo chiara la “struttura di peccato” che agiva in Emilia-Romagna in quel periodo. Un lungo periodo: il sindacalista Fanin è ucciso nel 1948, Munarini e Rossi addirittura nel 1955.
Oppure pensate al “delitto finanziario” descritto nel film “La grande scommessa”. L’aberrazione antropologica di chi vuole creare denaro dal denaro crea una struttura di peccato che mette in ginocchio l’economia mondiale, ma nessuno andò in galera, tranne qualche pesce piccolo.
La verità giudiziaria non coincide con la verità antropologica.
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Chi segue i miei articoli sa che non ho parlato di Bibbiano. Il motivo è semplice: tante persone mi chiamano “zio”, anche se non lo sono. Sono ragazzi passati in affido da mio fratello e mia cognata: è l’affido buono, quello che mantiene il filo di contatto anche con le famiglie più squinternate. Perciò su Bibbiano voglio stare particolarmente attento: non voglio dire una sola parola che metta in cattiva luce gli affidi in generale.
Ma è successa la faccenda del sindaco Carletti, e mi sono deciso a scrivere.
Andrea Carletti, sindaco di Bibbiano, indagato nell’inchiesta “Angeli e Demoni”, era stato messo agli arresti domiciliari a giugno, poi in appello gli avevano dato l’obbligo di dimora ad Albinea, infine la Cassazione lo ha rimesso in piena libertà. L’onda emozionale lo considerò “condannato” a giugno, lo passò a “mezzo condannato” a settembre, e lo dà per “assolto” a dicembre.
Emozioni da cancellare: le misure cautelari infatti non dicono nulla sulla sostanza del processo. Il processo creerà la “verità giudiziaria”, e quella non ci compete: dal processo gli indagati potrebbero uscire anche tutti assolti.
Ma il giudizio antropologico e politico viceversa non compete ai giudici, compete a noi. Infatti una “struttura di peccato” può essere costruita di tasselli così piccoli da non avere singolarmente rilevanza penale, ma da creare un macro-danno alla società: danno che può essere combattuto solo per via politica, avendo chiara la corretta antropologia.
Su Bibbiano non dobbiamo dimenticare che qualche tassello c’è già.
C’è la confessione dell’assistente sociale Cinzia Magnarelli sull’alterazione delle relazioni.
Ci sono le parole dell’ex Giudice del Tribunale dei minori di Bologna Francesco Morcavallo, dimessosi per la facilità con cui i bambini venivano tolti alle famiglie.
Ci sono le parole del dottor Imparato, che ha denunciato in tutte le sedi i metodi del Tribunale per i Minorenni di Bologna, del quale fece parte dal 2004 al 2013.
Conosciamo la visione antropologica di Federica Anghinolfi, visto che ha partecipato a diversi convegni pubblici. Dice tra l’altro che «in questo Paese è ancora troppo forte l’idea della famiglia patriarcale padrona dei figli».
Non diversa l’antropologia di Claudio Foti, del Centro Hansel e Gretel, che scrive un articolo “Contro la cultura patriarcale e contro l’adultocentrismo che opprimono donne e bambini”.
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Possiamo dire per certo che nel lavorare le persone portano con sé l’antropologia nella quale si riconoscono: se hai della famiglia un’idea libertaria, di autodeterminazione, di conflitto maschio-femmina, non avrai alcun desiderio di salvare la famiglia stessa; il “togliere alla famiglia” si presenterà come un’ottica normale, non come il caso estremo.
Possiamo dire per certo che il caso non è locale, ma di politica nazionale: Vanna Iori portò il sistema Bibbiano in audizione alla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, 14 luglio 2016 (sindaco Carletti, Federica Anghinolfi).
Possiamo dire per certo che serve una statistica dei casi di bambini restituiti alle famiglie e dei genitori assolti, tenendo anche conto del fatto che molti genitori non presentano appello semplicemente perché sono poveri e senza forze.
Possiamo dire per certo che l’impostazione di Hansel e Gretel è erronea: «I dati sulle false accuse non possono basarsi su archiviazioni e assoluzioni giudiziarie. Il responso giudiziario risulta spesso condizionato vuoi da modalità d’indagine e processuali che tengono assai poco in considerazione le comunicazioni dei bambini, vuoi dalla scarsa preparazione psicologica dei giudici» (sintesi dal sito Hansel e Gretel).
Non è così. In uno stato di diritto la persona assolta è assolta. Non può restargli addosso l’ombra della colpa perché lo psicologo ha un parere diverso.
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Vada come vada il processo di Bibbiano.
Ma resta la realtà antropologica: noi, per il sistema degli affidi, abbiamo bisogno di persone formate all’amore per la famiglia Costituzionale, la “società naturale fondata sul matrimonio”.
Primo: i bambini devono stare con mamma e papà.
Secondo: se mamma e papà non ce la fanno, lo Stato interviene a supporto e non in sostituzione.
Terzo: se in modo inequivocabile accadono fatti gravi (non generiche “situazioni di disagio”), allora si può procedere alla protezione del minore nella forma più opportuna.
Giovanni Lazzaretti
giovanni.maria.lazzaretti@gmail.com
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