SIAMO LA GENERAZIONE PIÙ SFIGATA E INETTA DELLA STORIA

massimo franceschini blog

Una cruda analisi sulle insufficienze civili di una generazione che “stranamente” non capisce più il presente.

qui il video dell’articolo

Pubblicato nella prima stesura con un titolo ritoccato su IL GIORNALE D’ITALIA qui: https://www.ilgiornaleditalia.it/news/costume/429749/generazione-anni-60-nel-2022-siamo-generazione-piu-sfigata-della-storia.html

di Massimo Franceschini

 

pubblicato anche su Sfero

 

Per me è difficile scrivere questo articolo, anche emotivamente, ma ciò che mi spinge è solo la drammatica osservazione di un presente che mi impedisce di non dire ciò che penso, per quel che possa valere: probabilmente siamo la generazione più “sfigata” della storia; intendo quelli nati entro i primi anni ‘60 del secolo scorso.

Perché tale sentenza?

Perché abbiamo fatto in tempo ad assaporare un passato assai diverso dall’oggi, per poi sperimentare sulla nostra pelle il progressivo incedere della distopia tecnocratica senza riuscire a comprendere subito cosa stesse accadendo e prendere le necessarie contromisure culturali e politiche.

Abbiamo dormito, profondamente, e anche chi comprendeva la complessità degli eventi culturali, tecnologici e sistemici, per tutta una serie di motivi non è stato capace di favorire una costruzione politica adatta a combattere la progressione verso il totalitarismo.

Per chi dubitasse della grave situazione politica e sociologica del presente, invito a riflettere sulle enormi confusioni, finzioni e manipolazioni insite nel pensiero unico dominante globale di matrice scientista, tecnocratica e transumana che sta annullando lo stato di diritto e riscrivendo in modo specioso e ipocrita le basi stesse del vivere.

La risultanza delle non comprensioni/incapacità della generazione in questione, è la perdurante mancanza nell’elaborazione di un’alternativa politica strutturata e di massa che potesse avere una minima chance di influire sull’agenda tecnocratica globale.

Per avere questa forza si sarebbe dovuta costruire abbattendo definitivamente i divide et impera ideologici e sistemici, per dare una coerente attuazione allo stato di diritto ed a quei trenta diritti umani che sin dal ‘48 si ergevano razionalmente sulle macerie, fisiche e ideologiche.

Anche ora che attraverso le varie emergenze e l’agenda 2030 stiamo osservando in tempo reale la precisa costruzione della distopia tecnocratica, quanti potrebbero coagulare un dissenso che abbia una minima possibilità continuano a non comprendere che per opporsi a questo incedere è necessario un completo cambio di passo politico, argomentativo, organizzativo e strategico.

In tutto ciò la maggior parte della maggioranza silenziosa è del tutto incapace di vedere o capire, dato che è stata privata per troppi anni della possibilità di sviluppare un pensiero critico proprio dalle istituzioni culturali, oltre che dai media mainstream.

La risultanza di questa situazione è assolutamente drammatica, proprio perché sedimentata da troppo tempo.

Credo infatti che ormai sia troppo tardi per fare qualcosa di politicamente utile a contrastare la tecnocrazia in formazione: era già tardi all’epoca di “mani pulite”/crollo del Muro di Berlino, e infatti niente di quanto nato da allora si sarebbe rivelato alla distanza di una qualche utilità politica – se non vogliamo considerare il gatekeeping 5 Stelle come qualcosa di positivo – ed è ancor più tardi oggi in cui neanche l’enorme attacco alla persona, ai diritti umani e allo stato di diritto compiuto con un’emergenza “sanitaria” costruita a tavolino e imposta mediaticamente, è servito a darci una scossa di realismo politico.

Proprio sulla questione mediatica credo si debba porre molta attenzione: la parte più “smaliziata” della nostra generazione ha dapprima accolto con snobistica curiosità il potente ingresso dei media nelle nostre vite, per poi finirci dentro fino al collo, e più, con la successiva aggravante socialmediatica che solo pochi di noi riescono, pur con molta difficoltà, ad usare in modo opportuno senza smarrirvi ogni ragione e prospettiva.

Eppure, sin dal secondo dopoguerra del secolo scorso avevamo tutti i mezzi per capire, sapevamo che la televisione era una novità recente, che non era certo servita a costruire quanto sin lì fatto di utile alla convivenza civile: lo stato di diritto, le istituzioni liberali e i diritti dell’uomo non erano frutto della dimensione mediatica, ma della buona volontà di quanti speravano, con il diritto, di spostare le vicende umane dai campi di battaglia o dalle “corti privilegiate”.

Avevamo già analisi, slanci e avvisi da fior fior di pensatori, filosofi e saggi che mettevano in guardia sulle insidie della modernità e della tecnica, ma niente: abbacinati dal miraggio della tecnica e delle immagini, già prepotente con l’avvento del cinema, abbiamo dato loro una potenza ancor maggiore di quella che naturalmente hanno, abbiamo dimenticato la capacità di distinguere la realtà dalla confezione.

Per non parlare della “fascinazione elettronica”, capace di scimmiottare il pensiero con un grande rutilare di applicazioni.

Chi mi legge, sa che una delle direttrici del mio impegno consiste nell’analizzare le varie sfaccettature di quella che chiamo “area del dissenso”, con lo scopo di individuarne i problemi che stanno alla base della sua incapacità di costruzione politica efficace e necessaria al mondo odierno.

Questa attività ha finora prodotto due nutrite serie di articoli e video entrambe intitolate “cosa impedisce una politica alternativa”.

Dato che in politica ritengo vitale un approccio assolutamente chiaro e pragmatico, per una proposta realmente alternativa propongo qui un sintetico sguardo allo stato della “civiltà politica” occidentale, nei caratteri che reputo utili allo scopo.

Questi caratteri sono presto detti:

  1. Da decenni è in atto una feroce “demolizione controllata” dello stato di diritto, che vede le sue istituzioni “occupate” da esponenti al servizio della finanza globale, delle corporazioni globali, del cosiddetto “deep state”, di oligarchie sovranazionali e logge, tutti ambiti intrecciati fra loro con la sostanziale complicità degli apparati di sicurezza, polizia e delle magistrature.
  2. A questa demolizione controllata si affianca un pensiero unico dominante che si vuole “progressista”, in realtà ideologicamente materialista e transumano, capace di riscrivere ogni ambito culturale e sociale attraverso la manipolazione ideologica e del linguaggio, virato alla cancellazione culturale, purtroppo in realtà anche fisica, di tutto ciò che non rientri all’interno del nuovo paradigma. Questa operazione è portata avanti in apparenza sotto l’ombrello dei diritti dell’uomo con false parole d’ordine di “inclusività” e “sostenibilità”, mentre in realtà si pervertono i diritti umani alla tecnocrazia scientista e antiumana.
  3. L’affermazione dei primi 2 punti è stata possibile grazie a due fattori: da una parte abbiamo la corruzione della politica per fini privati e non dichiarati; dall’altra un enorme appoggio da parte di chi controlla il web, dei cosiddetti media mainstream e social media mainstream, ovviamente in mano o variamente controllati dai soggetti di cui al punto 1.

Nel precedente articolo, in cui ricordavo anche i passi salienti della “demolizione controllata” del nostro Paese, invocavo la “necessità” come virtù di realismo utile al dissenso del giorno d’oggi, in questo modo:
Vista la forza e la profondità del sistema vigente, credo che oggi occorra uno sforzo politico e culturale di una tale portata, autorevolezza, sagacia organizzativa e comunicativa che solo dei “manager” con i fiocchi potrebbero tentare di costruire, coinvolgendo le teste pensanti e le forze migliori del Paese. Tale sforzo dovrebbe essere inteso a far comprendere se e come sia possibile ripristinare un vero “stato di diritto” che non sia, come oggi, una struttura posseduta da poteri al di fuori del controllo popolare e costituzionale. Sarebbe questo un lavoro certamente difficile, perché abbiamo perso troppi anni in antipolitica, inutili divisioni e miraggi mediatici, mentre il sistema entrava sempre più nelle nostre vite, nel pensiero e nella carne, prenotando anche il futuro con la facile cooptazione tecnologica delle nuove generazioni.

Quando parlo di manager ovviamente penso a dei politici, meglio se credibili statisti, con spiccate doti organizzative e con una visione del “campo di gioco” capace di organizzare tutti i diversamente dissenzienti allo status quo.

Se abbandonassimo idiosincrasie di “posizione” e ritrovassimo uno spirito costituzionalmente e umanisticamente orientato, vedremmo che l’area del dissenso alla distopia tecnocratica e transumana è potenzialmente maggioritaria nel Paese e nell’Occidente.

Il sentire sostanzialmente antitecnocratico e realmente liberale avrebbe ancora un potenziale dirompente, se solo fosse unito in modo opportuno e fornito di linee guida attuali, credibili e rivelatrici sul presente, capaci di spezzare le varie narrazioni distorsive e divisive che occupano la scena mediatica e l’agenda politica che stiamo sperimentando sulla nostra carne in tutta la sua violenza.

L’obiettivo di rimettere tale agenda sotto il controllo consapevole delle società civili, potrebbe così non essere un miraggio, ma per ottenere ciò abbiamo evidentemente bisogno di un mezzo miracolo, capace di dare una svegliata a quanti di noi pensano ancora di vivere in epoche appena più “fortunate” e piene di belle speranze, che ancora non riescono o non vogliono ammettere quanto la situazione politica e istituzionale dell’Occidente sia democraticamente esiziale.

 

26 novembre 2022
fonte immagine: Wikimedia Commons

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