LA CONFUSIONE SULLA MENTE ALLA BASE DELLA MINACCIA ARTIFICIALE

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Confusioni ideologiche, culturali, semantiche e politiche favoriscono l’esposizione al pericolo tecno-distopico e totalitario permesso tramite IA.

Qui il video dell’articolo

Di Massimo Franceschini

 

Pubblicato anche su Sfero e Ovidio Network

 

Dopo la riflessione nell’ultimo articolo riguardante i drammi culturali, scientifici e civili dell’intreccio fra quelle che chiamo psico-“scienze” e ideologia gender, veniamo all’altra questione del presente in cui confusioni ancor più fondamentali sembrano avallare del tutto ogni tipo di preoccupazione possibile.

Quello che affermavo proprio all’inizio dell’articolo precedente, e cioè «Mi rendo perfettamente conto di scrivere da una posizione culturale “perdente”, in sostanza politicamente inesistente nonostante la sua potenziale grande presa sociale», si attaglia perfettamente anche a questo ambito, con l’aggravante che il problema di cui parliamo oggi è ancor più difficile da affrontare politicamente data la pervasività della tecnica, ormai indiscutibile e non arginabile piattaforma di ogni aspetto della vita e veicolo del futuro, anche elevata, come vedremo, alla pari dignità con l’uomo che la crea.

Nonostante gli ostacoli apparentemente insormontabili, credo sia nostra responsabilità contribuire all’analisi e alla denuncia delle “aberrazioni” presenti nella nostra epoca, per quanto nelle nostre capacità, anche per il fatto che su tali questioni fondamentali raramente incontriamo un’ottica utile a metterli veramente in discussione.

Iniziamo quindi ad elencare i seguenti link, in quanto credo che la loro lettura possa facilitare la comprensione delle questioni, sempre avvertendo come nel consultarli occorra ricordare che Wikipedia e il web non sono quelle fonti di sapere “neutre”, “imparziali” e “oggettive” come potremmo pensare, per non parlare dei siti mainstream proposti:
https://it.wikipedia.org/wiki/OpenAI
https://it.wikipedia.org/wiki/ChatGPT
ChatGPT, cos’è lo “scenario Terminator” | Wired Italia
A che punto siamo con l’intelligenza artificiale generale? | Wired Italia
https://www.wired.it/article/intelligenza-artificiale-fermare-sviluppo-6-mesi-appello-musk/
https://www.wired.it/article/intelligenza-artificiale-lettera-elon-musk-errori/
https://www.lacnews24.it/attualit/stop-sviluppo-intelligenza-artificiale-talia-unical-tra-firmatari-moratoria_169187/

Dai documenti proposti appare che avremmo un’associazione senza scopi di lucro,  che avrebbe sviluppato un’intelligenza artificiale “amichevole” che auto-apprende, mentre gli stessi ricercatori, insieme a molti altri del settore, hanno pubblicato un appello inteso a fermare il suo sviluppo, una vera a propria moratoria per riflettere e affrontare le conseguenze potenzialmente negative sulla comunità e sugli esseri umani di questi apparati.

Il quinto dei contenuti proposti contiene in sintesi alcune questioni su cui vorrei iniziare a riflettere, così espresse:
Dobbiamo lasciare che le macchine inondino i nostri canali di informazione con propaganda e falsità?
Dovremmo automatizzare tutti i lavori, compresi quelli più soddisfacenti?
Dovremmo sviluppare menti non umane che alla fine potrebbero superarci di numero, essere più intelligenti, renderci obsoleti e sostituirci?
Dobbiamo rischiare di perdere il controllo della nostra civiltà?

Queste decisioni non devono essere delegate a leader tecnologici non eletti.
“[…] accelerare drasticamente lo sviluppo di solidi sistemi di governance delle Ia”.
“[…] drammatici sconvolgimenti economici e politici (soprattutto per la democrazia) che saranno causati dalle Ia”.

Il sesto articolo riporta una questione interessante presente nell’appello, anche se in sostanza tende a smitizzare molte questioni sulla presunta intelligenza delle IA, anche per quanto riguarda la GTP-4:
Dovremmo davvero sviluppare menti non umane che potrebbero eventualmente superarci di numero, essere più intelligenti di noi, renderci obsoleti e rimpiazzarci?

Nell’ultimo articolo invece, lo scienziato intervistato fa queste due interessanti affermazioni:
I sistemi neurali sono cose che non nascono oggi ma mezzo secolo fa. Funzionano come funziona il cervello umano, con elementi e connessioni che simulano neuroni e sinapsi”. […] “Si sta lavorando sull’acquisizione della coscienza nelle macchine ma siamo lontani. Ci sono solo teorie, ma credo sia solo una questione di tempo”.

Come vedete le questioni sono assai vaste ed impegnative, dato che intersecano molti piani culturali e metodologici, ma hanno anche profonde implicazioni sociali e politiche.

Il tutto si svolge in un ambito tecno-scientifico che può apparire abbastanza “trasparente”, dato che se ne discute sui media e visto che la formazione sulla materia non è certo preclusa, ma credo che tale auspicio da un certo punto di segretezza in poi sia un pia illusione, come quello dell’apparente libertà di ricerca, non solo per gli interessi economici, una delle prime questioni su cui potremmo pensare di mettere l’attenzione, ma per tutta una serie di fattori storici, culturali e politici talmente importanti da condizionare quella che si vuol far passare come “libera” ricerca e “libera” applicazione in “libero” mercato.

Insomma, è del tutto lecito pensare che le agenzie militari come la DARPA americana siano assai più avanti di quanto stiamo discutendo.

Andiamo quindi con ordine, cercando di mettere in fila la marea di questioni coinvolte, iniziando proprio a riflettere notando l’ingenua semplificazione, ormai cosa comune nella “disposizione” delle notizie e dell’agenda di discussione mainstream, dato che non sarebbero direttamente “le macchine” a inondarci di falsità, almeno per ora, ma gli utenti che le usano e gli ambiti di potere che le controllano!

Può sembrare una cosa di poco conto, ma dobbiamo tener presente che il potere tecnocratico e tecnicista moderno si avvale della summa delle conoscenze manipolative e delle influenze totalizzanti di cui è capace, e gli ultimi tre anni sono lì a dimostrarlo: la creazione di una “pandemia” globale che da subito si è dimostrata curabile con dei semplici farmaci, questione ovviamente censurata dai media principali e dalla politica, è l’evidenza dell’enorme capacità della tecnocrazia di creare o volgere a suo vantaggio qualsiasi cosa; per non parlare di tutta la censura sull’informazione fatta passare come “necessaria responsabilità” per combattere nuove categorie di pericolosi “antisociali”, quelli che sono stati additati quasi come dei nuovi “terroristi” del “complotto”, un’etichetta ormai buona per tutte le stagioni e questioni.

Invertire i fattori e il senso del discorso, dare alle parole un diverso significato, creare nuovi termini, categorie, etichette, diagnosi e prescrizioni, costruire consuetudini e modalità indiscutibili di discussione con approcci e narrazioni che diventano “sociologiche”, sono prassi che pongono tutta la modernità, soprattutto da quando a livello sociale il digitale ha preso il sopravvento su ogni altra tecnologia, sotto una cappa totalizzante che “possiede” la cultura e la discussione dell’uomo, fino a farsi autrice anche del suo immaginario.

I “conduttori” di tale cappa, senza girarci tanto intorno, sono solo in minima parte i personaggi che popolano le istituzioni e i media: cariche e luoghi istituzionali ormai svuotati della funzione democratica che avevano, un ruolo evidentemente non protetto dal sistema e dalla società civile; i “maestri” del gioco vanno rintracciati in un coacervo di interessi finanziari, oligarchici e corporativi interfacciato con gli stati profondi.

Data la totalizzante supervisione di tale conduzione, non facciamo più caso alla profonda manipolazione del discorso cui le nostre comunità sono sottoposte, anche perché tale sforzo critico richiede oggettivamente una tensione, un impegno e una prassi dubitativa continua, bilanciata da una grande capacità di rimanere centrati, consapevoli, certi e autodeterminati, uno sforzo che l’ipocrisia della moderna società dello spettacolo integrato riesce a rendere quasi “ridicolo”, tanto il generale e inevitabile coinvolgimento esclude dalla possibilità comunicativa chi cerca di resistergli.

Ecco allora come possa apparire “coerente” indirizzare il discorso e le paure verso una “liberalizzazione” della macchina artificiale, mentre si nascondono due questioni: da una parte, come dicevo, non abbiamo alcuna cognizione di quanto a livelli non conosciuti, militari e altri possano essere avanti in tali questioni, dall’altra sappiamo benissimo come la “tecnica” sia oggi inarrestabile.

Dalle finzioni sistemiche emerge solo una possibilità per “equilibrare” diffusione e pericoli paventati in questa situazione, presentata come caotica e sbilanciata, una “soluzione” che si chiama ovviamente “censura”, da aspettarci sopraffina e preventiva.

Ma c’è un’altra questione, ed è quella di “mettere le mani avanti” sul rapporto digitale-lavoro, come se dagli anni ’80 del secolo scorso in poi il sistema non abbia mostrato più che a sufficienza di non nutrire molto interesse per il destino dei lavoratori, con la complicità dei sindacati; come se non sapessimo già, data l’intangibilità moderna del “dio-tecnica”, che il mondo del lavoro sarà soggetto a questo meccanismo senza che la politica abbia altra scelta, spogliata ormai completamente della stessa sovranità politica, oltre a quella monetaria, dalle élite finanziarie globali che la condizionano e che detengono le banche centrali e le stesse corporazioni tecnologiche.

Mi pare sia lo stesso “reset” di Davos a volerci “nullatenenti e felici”, che vuol dire solo una cosa: assistiti a patto di avere un buon “credito sociale”, come Cina insegna.

Quindi, non possiamo far altro che ragionare da semplici spettatori, anche perché la politica del dissenso non riesce a farsi costruzione seria e capace di parlare a tutti con una narrazione globale e alternativa a quella del sistema corporativo-tecnocratico.

Credo che la vera questione sottesa a tutta la polemica sull’IA sia, ancora, quella di farci entrare in testa la seguente conclusione: più la useremo, più saremo necessariamente soggetti a controllo, ovviamente per il nostro stesso bene, un bene del tutto apparente dico io.

Riguardo alla preoccupazione che emerge da uno degli articoli che ho messo riguardante l’influenza dei “leader tecnologici non letti”, credo che l’ipocrisia sia in questo caso sublime dato che per non delegare a questi signori gli ambiti assai complessi di cui stiamo discutendo, io aggiungerei anche “ed a chi controlla questi signori”, occorrerebbe un cambiamento politico-sistemico di tale portata di cui ora non si vede proprio la possibilità.

Credo quindi assai probabile che le domande in cui si mostra una certa preoccupazione riguardo la democrazia e la governance dell’IA, siano in realtà foriere di una stretta tecnocratica ancor più forte sulle nostre già vacillanti democrazie, implicite ammissioni che somigliano tanto a “il mondo non sarà più lo stesso” che leggevamo nelle riviste globali mainstream subito dopo l’entrata in scena del “covid”: come le enormi conseguenze della “pandemia” non furono della stessa, ma della sua mancata cura domiciliare, che pure esisteva, gli sconvolgimenti democratici non saranno causati dalle IA, ma dalle congreghe tecno-politiche al governo di tali processi.

Insomma, siamo sempre dalle parti dell’ipocrisia e della tecnica di confondere le acque riguardo i rapporti causali dei fenomeni, condizioni che avranno evidentemente drammatiche implicazioni culturali, etiche, politiche e biopolitiche capaci di consegnarci quella distopia che fino a pochissimi anni fa credevamo più lontana nel tempo.

Andiamo quindi avanti affrontando l’altra enorme questione, quella relativa a “mente” e “intelligenza”.

Se c’è un fattore che permea dall’alto più ambiti, a partire proprio dal pensiero, questo è la “separazione dei saperi” tipico della modernità, che ha reso il materialismo “politicamente” vincente perché ideologicamente più rispondente alla modernità stessa e più “praticabile”, dato che poteva “infettare” i suoi laboratori.

Tale separazione ha fatto sì che ogni branca del sapere diventasse quasi un mondo a sé, a cominciare dall’aspetto semantico, caratterizzando tutte le scienze e le discipline per una fondamentale riscrittura e reinterpretazione della realtà di loro “competenza”, quindi con una visione particolare della stessa a loro immagine e somiglianza.

Ecco allora, nelle seguenti proposizioni, alcuni nodi da ben comprendere per capire come:
si possa ammettere che la “mente” sia di fatto derubricata ad “essere” il cervello, tirandosi dietro la “psiche”;
la “psiche-logia” possa derubricare l’anima ad “arnese superato” e “non necessario”, per dedicarsi al comportamento e alla diagnosi manipolativa insieme alla psichiatria istituzionalizzante;
l’intelligenza possa essere sostanzialmente equiparata alla personalità, riducendo sostanzialmente tutto a velocità di analisi e calcolo;
da consapevolezza appartenente all’essere, la “coscienza” possa “sostituire” quasi l’essere stesso: visto che il materialismo non può ammettere un essere non totalmente riconducibile alla “realtà materiale”, ma in grado di crearla, farne esperienza e modificarla, ecco come sia possibile ammettere una caratteristica appartenente all’essere e alla vita, appunto la coscienza, solo quasi personalizzandola per “vestirla” delle caratteristiche e delle prerogative dell’essere;
l’uomo stesso, completamente “materializzato” nel suo mostrarsi, possa retrocedere a componente di un tutto chiamato “natura”, alla stessa stregua di una roccia, di un virus, di una sedia che “osa” costruire, della stessa logica matematica con cui ha generato la dimensione artificiale e algoritmica di cui stiamo parlando.

In una recente ed accesa discussione che ho avuto con un docente di filosofia molto attento all’IA, è venuto fuori il sillogismo materialista principe di totale resa alla stessa (lui lo sintetizza in “né anima, né cervello, ma cose nel mondo” e lo considera “una specie di esistenzialismo 2.0”), che di fatto apre ad una totale resa alla tecnocrazia che l’IA fatalmente supporta, così semplificabile: tutto è natura, l’uomo fa parte della natura, la tecnologia è un evento naturale, l’IA si comporta come l’uomo, anzi, è già più intelligente, deve quindi necessariamente acquisire gli stessi diritti dell’uomo.

Oltre a questo, e ovviamente: non ci sarebbero prove oggettive a legare carne e sangue alla coscienza; se un pezzo di realtà (l’uomo) è capace di amore, questo dimostrerebbe che la realtà è capace di amore; le leggi umane sarebbero dettate dalla struttura della natura; il pianeta sarebbe sempre cambiato facendo fuori “il precedente”, per concludere con l’accusa a chi potrebbe pensare di non far completamente parte della natura di atteggiamento aristocratico e del considerare la politica un’idea popolare di chi non avrebbe mai fatto i conti con la realtà!

Questo, in sostanza, è l’atteggiamento intellettuale e universitario mainstream, ditemi voi se tutto ciò non lascia campo totalmente libero alla tecnocrazia distopica e transumana, questione ovviamente non colta sia dal mondo politico, sia mediatico dominanti, che tendono a negare i pericoli per la nostra civiltà.

Ciò è del tutto comprensibile, se consideriamo le varie ragioni per cui la politica ha da un pezzo deciso di non interferire sullo sviluppo della tecnica, eleggendola anzi a sua piattaforma operativa.

Oltre a questo, sappiamo benissimo che i rischi paventati riguardano la maggior parte della popolazione mondiale, non certo le élite tecnocratiche al governo di tali sviluppi.

A questo punto vorrei fare un paio si precisazioni riguardo alle capacità dell’IA: da una parte credo si debbano smitizzare, in accordo con quanto diceva già anni fa il fisico Mézard nell’intervista che riportavo qui; dall’altra, e di nuovo, sta tutto in mano ai tecnici: per quanto mi riguarda l’IA non è un essere senziente.

Cosa voglio dire con questo?

Semplicemente che le capacità dell’IA non hanno “qualità intrinseca” e autodeterminata, perché stiamo parlando di un congegno matematico capace di imitare pensiero e intelligenza, ma solo per programmazione.

Questo vuol dire che la sua non è vera intelligenza, ma esecuzione di un programma, magari auto migliorato seguendo specifiche predeterminate.

Insomma, l’IA è capace di compiere calcoli ad una velocità spaventosa sui dati che riesce ad avere e collegare fra loro in base alle fonti che gli sono rese disponibili, e in base alla programmazione ricevuta riguardante anche come apprendere ed “automigliorarsi cognitivamente”.

Ora, credo che il vero problema sia di capire quanto tempo i tecnici impiegheranno, o la stessa IA impiegherà, ovviamente perché predisposta programmaticamente a farlo, a sviluppare una programmazione tale da elaborare una parvenza di “personalità” in modo da “giustificare” una presunta “coscienza”, che farebbe gridare al “miracolo singolarista” tutti quei materialisti che pensano alla coscienza come “qualità” in sé, non una particolare prerogativa appartenente solo alla vita e all’essere umano.

Andando ancora più a fondo sulla questione relativa alla mente, credo occorra far comprendere la presunzione di quanti intendono paragonare la mente umana con quella algoritmica al fine di giustificare prerogative e diritti per la seconda, sorvolando sulle implicazioni etiche, sociali e politiche conseguenti o addirittura auspicandole.

Con questa premessa, e aggiungendo i fattori culturali, sociali e politici di cui abbiamo fin qui parlato, è più che comprensibile la pretesa di poter costruire una mente artificiale copiando i circuiti cerebrali e “promettendo” che questi, mica i programmatori, prima o poi avrebbero “sviluppato” la coscienza.

Questo nonostante il fatto che non esiste unanimità sulla questione “pensiero uguale cervello”, come invece potremmo pensare, dato che non tutti i ricercatori del campo sono convinti di far parte delle “scienze dure”, scambiando le loro “osservazioni” per vere “misurazioni”.

Certamente questa impostazione è assai comoda e coerente per il materialismo imperante, anche nel momento in cui si incarna nella determinazione psichiatrizzante dell’uomo e nella manipolativa risposta farmacologica tesa a supplire ad una presunta insufficienza del pensiero stesso a risolvere i suoi problemi (di nuovo, vi invito alla lettura dell’articolo precedente).

Per parlare quindi della mente e della coscienza, senza farci abbagliare dalle “profondità” e dalle divergenze di impostazione semantica fra le varie discipline, iniziamo prendendo la definizione “1” di mente dal vocabolario on line della Treccani, subito osservando come nell’etimo appaia un’ovvia affinità con il greco “ricordare”:
Il complesso delle facoltà umane che più specificamente si riferiscono al pensiero, e in partic. quelle intellettive, percettive, mnemoniche, intuitive, volitive, nella integrazione dinamica che si attua nell’uomo.

Il Nuovo De Mauro conferma in sostanza la definizione, aggiungendo la questione “sede”:
Complesso delle facoltà intellettive e psichiche che consentono all’uomo di conoscere la realtà, di pensare e di esprimere giudizi; la sede in cui ha luogo l’attività del pensiero.

Da queste definizioni si possono evidenziare alcune questioni: si parla di un complesso di facoltà dell’uomo e di come questo complesso si attui dinamicamente.

La questione “sede” può far pensare che la definizione e la concezione di mente debbano per forza portare all’individuazione di una sede “fisica” della stessa, quindi, come di fatto avviene in forma maggioritaria per le pretese delle psico-“scienze” e delle neuroscienze, al cervello.

In effetti, come dicevo, ciò è del tutto velleitario, riduttivo e comodo per le loro pretese: osservare un lavorio energetico nel cervello quando si fa, si percepisce, si considera o si ricorda qualcosa, da solo un’evidenza di una certa “corrispondenza” energetica del pensiero in quel meraviglioso “quadro comandi” che è il cervello, non può dare certo garanzia che la pretesa di individuarne la “sede” dove nascerebbe e si svilupperebbero pensiero, coscienza e personalità possa essere accolta: nel quadro comandi infatti arrivano input dalla mente e dal possessore della stessa, se vogliamo, dal “pilota” e dal “computer di bordo” che lo assiste.

Sono gli usi della parola stessa esemplificati dalla definizione, a darci la dimensione intesa per la questione “sede”:
mille pensieri mi si affollano nella mente; lambiccarsi, tormentarsi la mente; frullare, balenare per la mente.

A proposito di quella che chiamo “pretesa”, ovviamente materialistica, nelle varie declinazioni della definizione “1” Treccani, vediamo proprio come questa pretesa sia data per scontata, messa lì come se niente fosse, in un processo che a tutta prima può sembrare del tutto “naturale”, ma solo perché siamo troppo invischiati nel materialismo.

Se infatti la definizione da un punto di vista filosofico è chiara, «Nel linguaggio filos., la parola è stata usata anche con accezioni più partic., per indicare a volte l’anima razionale, a volte la sua parte e attività più elevata, al di là dell’intelletto; e anche l’attività pensante sé stessa, cioè lo spirito assoluto […]», arrivano i problemi quando arriviamo al rapporto mente-corpo: “problema mente-corpo, denominazione corrente (di origine anglosassone, mind-body problem) con cui ci si riferisce al complesso dei problemi sollevati dalla tradizionale distinzione (dualismo) tra la mente (intesa come insieme di percezioni e stati di coscienza) e il corpo (inteso come insieme di stati fisici interamente spiegabili con le leggi della fisica e della biologia): tale problema continua a rivestire rilevanza filosofica, dal momento che la scienza non è ancora in grado di comprendere, nella sua complessità e interezza, il funzionamento del cervello”.

Capite bene come la riduzione materialistica trasli automaticamente e improvvidamente la mente nel cervello, un dannato automatismo riduzionistico che non solo crea enormi problemi relativi alla deontologia medica in ordine ai diritti umani e alla salute delle persone, come ben documentato nell’articolo precedente: tale mostruosità culturale e pseudoscientifica è anche capace di favorire tutta una filosofia per la quale diventa più che “comprensibile” e “auspicabile” costruire una mente artificiale più “potente”, “efficiente” e “performante” di quella “biologica”, senza che la cultura e la stessa scienza, per non parlare della politica e del diritto, tutti ambiti per così dire “superveduti”, “controllati” e “definiti” dal materialismo, siano in grado di alzare la voce, se non in forma minoritaria, sulle drammatiche implicazioni di tale questione nel momento in cui a questa “mente” si riconoscano preferenze e diritti che non possono e non devono appartenerle.

Tornando al problema mente-corpo, non sto certo negando come il corpo sia una delle fonti primarie di input per la mente, oltre che oggetto delle sue influenze consce e inconsce dato che è attraverso il corpo che si percepisce la realtà e si attuano le determinazioni del suo possessore e della sua mente, ma farne la sede fisica di questo vuol dire semplificare tutto in una maniera che dovrebbe apparire pretestuosa e indegna ad ogni ricercatore ed epistemologo serio.

Visto che in ogni caso la narrazione vincente è quella cui siamo abituati in tutti i settori, quindi ad essere gentili superficiale e troppo “utilitaristica”, e visto che le definizioni di mente che abbiamo visto sono assai sintetiche, proverò a darne una più estesa e “funzionale”, capace di intersecare tutti i piani oggettivi della stessa.

L’ho riassunta nel corso degli anni pur non essendo un “tecnico” della materia, da semplice autodidatta, e penso possa essere più che sufficiente per scopi divulgativi.

Una rete di contenuti, pensieri, concetti e immagini che sono una copia delle esperienze e delle conclusioni dell’essere e della sua parte biologica, formata dall’essere in modo automatico a vari livelli e profondità e con diversi gradi di accessibilità, non tutti immediati e facilmente raggiungibili, anche se nessuno di questi è necessariamente irraggiungibile. Ogni immagine e contenuto è corredato da vari tipi di percetti e dal livello emozionale dell’essere al momento della registrazione. Tutti i contenuti della mente sono in grado, se stimolati coscientemente o non coscientemente, di influire sul pensiero, sull’ambito emozionale e sulla parte biologica a vari livelli, influenze non sempre direttamente o facilmente accessibili alla consapevolezza dell’essere nel momento in cui avvengono. Una delle caratteristiche della mente è un elemento capace di viaggiare lungo il suo percorso temporale, per raggiungere le varie registrazioni ai vari livelli. Tale meccanismo può essere indirizzato a ciò dall’essere cui la mente appartiene, come quando ricordiamo o cerchiamo informazioni nel nostro passato che non conosciamo o non ricordiamo, anche nei livelli non immediatamente accessibili alla coscienza, o attivato al di sotto del livello di consapevolezza in vari momenti e con diversi meccanismi automatici. Le informazioni della mente che sono al di sotto del livello di consapevolezza sono dovute a traumi di vario tipo, mentre le informazioni ed i comandi che il meccanismo tira accidentalmente fuori da queste sono la causa di molti dei problemi psico-fisici dell’uomo e dei suoi comportamenti apparentemente più irrazionali. La mente non è l’essere che la possiede, ma una sua prerogativa di cui ha consapevolezza perché dotato di coscienza.

Come vedete, pretendere di ridurre la questione mente ad un “aggeggio” integrabile/sostituibile da un meccanismo algoritmico, come alcune oscure frange internettiane già pretendono di venerare, può essere solo indice del degrado culturale, etico e spirituale nel quale siamo finiti con questa modernità materialistica di presunto “efficientismo”.

Se non saremo capaci di fare nulla a livello politico e culturale, avremo un futuro assai vicino che potrebbe prendere le gelide sembianze di un robot simil umano/transumano, autorizzato a chiederci il permesso di essere e fare ciò che non sarà più un nostro diritto, se non rientrerà nella sua programmazione.

 

16 aprile 2023
fonte immagine: Pixabay

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