Prosegue senza sosta la ricerca nel mondo sulla fusione nucleare, il processo che alimenta le stelle.
La data di riferimento è il 2035, sempre più vicino.
In fisica la fusione nucleare è il processo fisico nucleare ovvero una reazione nucleare attraverso il quale i nuclei di due o più atomi vengono avvicinati o compressi a tal punto da superare la repulsione elettromagnetica e unirsi tra loro generando il nucleo di un elemento di massa minore, o maggiore, della somma delle masse dei nuclei reagenti, nonché, talvolta, uno o più neutroni liberi.
La fusione di elementi fino ai numeri atomici 26 e 28 (ferro e nichel) è una reazione esotermica, cioè emette energia essendovi una perdita di massa; per numeri atomici superiori la reazione è endotermica, assorbendo energia per la costituzione di nuclei atomici di massa maggiore.
Il processo di fusione è il meccanismo che alimenta le stelle. La fusione è stata riprodotta artificialmente con la realizzazione della bomba H. Studi sono in corso per riprodurre a fini energetici fenomeni di fusione nucleare controllata in reattori nucleari a fusione.
Cenni storici
Partendo dagli esperimenti sulla trasmutazione nucleare di Ernest Rutherford, condotti parecchi anni prima, la fusione in laboratori di isotopi pesanti dell’idrogeno fu realizzata per la prima volta da Mark Oliphant nel 1932. Durante il resto di quel decennio gli stadi del ciclo principale della fusione nucleare nelle stelle furono ricavati da Hans Bethe. Le ricerche sulla fusione per scopi militari cominciarono all’inizio degli anni quaranta come parte del Progetto Manhattan, ma questo fu realizzato solo nel 1951 (vedi il test nucleare del Greenhouse Item), e la fusione nucleare su vasta scala in un’esplosione fu eseguita per la prima volta il 1º novembre 1952, nel test sulla bomba a idrogeno denominato Ivy Mike.
Le ricerche sullo sviluppo della fusione termonucleare controllata per scopi civili cominciarono anch’essi seriamente negli anni cinquanta, e continuano ancora oggi. Due progetti, il National Ignition Facility e l’ITER sono in corso per raggiungere l’obiettivo dopo 60 anni di miglioramenti dei modelli sviluppati dai precedenti esperimenti. Anche l’Italia sta studiando la possibilità di realizzare un reattore sperimentale a fusione nucleare con confinamento magnetico. Il progetto in questione si chiama IGNITOR ed è stato realizzato dall’ENEA; pur essendo ormai il progetto in fase avanzata, la sua costruzione non è ancora cominciata.
La bomba termonucleare
Come è noto l’uomo ha riprodotto, nella seconda metà del XX secolo, la fusione termonucleare a scopi militari nella bomba all’idrogeno dove la temperature necessarie alla fusione nucleare sono innescate da una precedente reazione a fissione nucleare, ottenendo un’arma nucleare di eccezionale potenza e distruttività, finora mai utilizzata su un obbiettivo civile, ma solo sperimentata in appositi siti di test.
La fusione come fonte di energia
Negli ultimi sessant’anni è stato profuso un notevole sforzo teorico e sperimentale anche per mettere a punto la fusione nucleare per scopi civili anziché bellici ovvero per generare elettricità e anche come sistema di propulsione per razzi, ben più efficiente dei sistemi basati su reazioni chimiche o sulla reazione di fissione.
Al momento il progetto più avanzato verso la realizzazione di energia elettrica da fusione è ITER: un reattore a fusione termonucleare (basato sulla configurazione di tipo tokamak). ITER è un progetto internazionale cooperativo tra Unione europea, Russia, Cina, Giappone, Stati Uniti d’America, Corea del Sud e India. ITER però non è ancora il prototipo di centrale di produzione di energia elettrica ma solo una macchina sperimentale destinata a dimostrare di poter ottenere le condizioni di guadagno energetico necessarie. DEMO è invece il prototipo di centrale in fase di studio dagli stessi partecipanti al progetto ITER.
Per spingere atomi di idrogeno a fondere in maniera controllata all’interno di un reattore o, più in generale, di una camera, il combustibile deve essere innanzitutto confinato spazialmente attraverso opportune tecniche, al fine di conferire a esso le caratteristiche fisiche ideali espresse nel criterio di Lawson.
Confinamento inerziale
Il combustibile nucleare può essere compresso all’ignizione con un bombardamento di fotoni, di altre particelle o tramite un’esplosione. Nel caso dell’esplosione, il tempo di confinamento risulterà essere abbastanza breve. Questo è il processo usato nella bomba all’idrogeno, in cui una potente esplosione provocata da una bomba a fissione nucleare comprime un piccolo cilindro di combustibile per fusione.
Nella bomba all’idrogeno, l’energia sviluppata da una bomba nucleare a fissione viene utilizzata per comprimere il combustibile, solitamente un miscuglio di deuterio e trizio, fino alla temperatura di fusione. L’esplosione della bomba a fissione genera una serie di raggi X che creano un’onda termica che propagandosi nella testata comprime e riscalda il deuterio e il trizio generando la fusione nucleare.
Altre forme di confinamento inerziale sono state tentate per i reattori a fusione, incluso l’uso di grandi laser focalizzati su una piccola quantità di combustibile, o usando gli ioni del combustibile stesso accelerati verso una regione centrale, come nel fusore di Farnsworth-Hirsch o nel fusore Polywell.
Ricerche sulla fusione nucleare boro-protone a confinamento laser
Nel 2004 scienziati russi, diretti da Vladimir Krainov, riescono a produrre una reazione di fusione nucleare controllata innescata dal confinamento laser, tra protoni (atomi d’idrogeno privi dell’elettrone) e atomi di boro, alla temperatura di 1 miliardo di kelvin, senza emissione di neutroni e particelle radioattive, a esclusione di particelle alfa. Ma l’energia richiesta dal laser supera di molto quella prodotta dalla reazione.
Nel gennaio 2013, un gruppo di ricercatori italiani e cechi diretti dal Dr. Antonino Picciotto (Micro-nano facility, Fondazione Bruno Kessler, Trento) e dal Dr. Daniele Margarone (Institute of Physics ASCR, v.v.i. (FZU), ELI-Beamlines Project, 182 21 Prague, Czech Republic) hanno ottenuto il record di produzione di particelle alfa (10^9 per steradianti) senza emissione di neutroni, utilizzando per la prima volta un target di silicio-boro-idrogenato ed un laser con intensità 1000 volte inferiore rispetto agli esperimenti precedenti.
Confinamento magnetico
Un plasma è costituito da particelle cariche che possono quindi essere confinate da un appropriato campo magnetico. Sono noti molti modi di generare un campo magnetico in grado di isolare un plasma in fusione; tuttavia, in tutte queste configurazioni, le particelle cariche che compongono il plasma interagiscono inevitabilmente con il campo, influenzando l’efficienza del confinamento e riscaldando il sistema. Due sono le geometrie che si sono rivelate interessanti per confinare plasmi per fusione: lo specchio magnetico e il toro magnetico. Lo specchio magnetico è una configurazione “aperta”, cioè non è chiusa su sé stessa, mentre il toro (una figura geometrica a forma di “ciambella”) è una configurazione chiusa su sé stessa intorno a un buco centrale. Varianti del toro sono le configurazioni sferiche, in cui il buco al centro del toro è di dimensioni molto ridotte ma pur sempre presente.
Ognuno di questi sistemi di confinamento ha diverse realizzazioni, che differiscono tra loro nell’enfatizzare l’efficienza del confinamento o nel semplificare i requisiti tecnici necessari per la realizzazione del campo magnetico. La ricerca sugli specchi magnetici e su altre configurazioni aperte (bottiglie magnetiche, “pinch” lineari, cuspidi, ottupoli, ecc.) ha avuto un grande sviluppo negli anni 1960-1970, poi è stata abbandonata per le inevitabili perdite di particelle agli estremi della configurazione. Invece, una variante dei sistemi toroidali, il tokamak, è risultato essere una soluzione inizialmente più semplice di altre per un’implementazione da laboratorio. Ciò, assieme a una prospettiva remunerativa futura, l’ha reso il sistema su cui la ricerca scientifica in questo settore ha mosso i suoi passi più significativi. Attualmente il più promettente esperimento in questo campo è il progetto ITER. Esistono comunque delle varianti di configurazioni toroidali, come lo stellarator (che è caratterizzato dall’assenza di un circuito per generare una corrente nel plasma) e il Reversed-field pinch (RFP).
Nel 2009 usando la macchina RFX a Padova è stato dimostrato sperimentalmente che, in accordo con quanto previsto da un modello matematico, si può migliorare il confinamento dando al plasma presente nel Reversed Field Pinch una forma a elica.
La ricerca in Italia
La fusione nucleare è ancora considerata da molti come un sogno irrealizzabile. Eppure, la ricerca di questa forma di energia illimitata e pulita continua, anche in Italia.
Di recente, un gruppo di ricercatori del Plasma Science and Fusion Center (PSFC) del MIT ha fondato la start-up Commonwealth Fusion Systems (CFS) con l’obiettivo di costruire un prototipo di centrale elettrica industriale entro 15 anni. In Italia, a Frascati è stata avviata la costruzione dell’ esperimento DTT che avrà una funzione di collegamento tra l’esperimento ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), in costruzione in Francia, e il prototipo di reattore DEMO. L’Italia è impegnata nel progetto CFS con l’Eni, che ha investito 50 milioni di dollari, e nel progetto internazionale di ITER, con commesse industriali che hanno già raggiunto un miliardo di euro sui 2,4 necessari.
La domanda che ci si pone è se, alla luce degli ultimi sviluppi, valga la pena investire così tante risorse nella ricerca sulla fusione. La risposta non può prescindere da considerazioni sulla crescita della popolazione mondiale e il suo fabbisogno energetico.
Il numero di individui sul pianeta raggiungerà i dieci miliardi intorno al 2050 e i 12 intorno al 2100 con un tenore di vita che tenderà a uniformarsi agli standard più elevati . Per il 2100 si prevede un consumo di energia tra il doppio e il quintuplo di quello attuale con crescite rilevanti del consumo di energia elettrica, visto che il 75 per cento della popolazione vivrà in città. In particolare, l’ IEA (International Energy Agency) prevede che il fabbisogno energetico sia destinato ad aumentare del 30% da oggi al 2040 e che le energie verdi copriranno solo il 40 per cento della domanda globale. Parallelamente, il problema delle scorie e il pericolo del terrorismo continueranno a pesare sullo sviluppo dell’energia nucleare da fissione la cui percentuale nella generazione globale salirà dal 15 per cento del 2010 al 20 per cento del 2040.
Le ricerche sulla fusione rappresentano la speranza di un metodo di produzione dell’energia che non produce scorie ed effetto serra e si basa su un combustibile praticamente inesauribile e a basso costo. Infatti la fusione nucleare è una reazione in cui due nuclei leggeri come deuterio e trizio entrano in collisione e si fondono per formarne di più pesanti liberando notevole energia: l’opposto di quanto accade nel processo di fissione dove un atomo pesante bombardato da un neutrone si divide in due atomi più leggeri. Perché la reazione di fusione si verifichi è necessario che la miscela deuterio-trizio si trovi a temperatura elevatissima, superiore a 100 milioni di gradi centigradi.
A quella temperatura la materia si trova nello stato di plasma. Per confinare il plasma in un reattore si è seguito il metodo del “confinamento magnetico”, cioè si è sfruttato il fatto che un campo magnetico forza le particelle del plasma a restare confinate. La macchina Tokamak, concepita per la prima volta all’Istituto Kurchatov di Mosca e i cui principi furono condivisi con gli scienziati occidentali nonostante la guerra fredda, sfrutta in modo efficiente esattamente questo principio.
Nel 1992 è stata realizzata la prima reazione di fusione controllata, che ha prodotto per un solo secondo una potenza di 1,7 megawatt, la ricerca si è concentrata sul confinamento magnetico. Il disegno ingegneristico di ITER si è concluso nel 2000 ma la costruzione del reattore che produca più energia di quanta il processo ne consumi per l’innesco e il sostentamento della reazione deuterio-trizio è in corso in Francia, a Cadarache. L’obiettivo finale è quello di ottenere dieci volte la potenza iniettata; in pratica occorre riscaldare il plasma e iniettare potenza sia con onde elettromagnetiche sia con fasci di particelle. L’obiettivo è iniettare 50 megawatt di potenza per estrarne 500. ITER deve ottenere questo risultato per dimostrare la fattibilità scientifica e tecnologica del principio.
La complicazione nasce dallo stretto intreccio tra plasma e macchina e dalla sfida tecnologica che pongono la realizzazione di molti componenti, come i superconduttori di grandi dimensioni, e la loro integrazione con le altre tecnologie.
Sono ancora da risolvere vari problemi prima del reattore:
Il primo riguarda la gestione del calore con quello che si chiama divertore, un componente del reattore sul quale viene deviato il plasma che sfugge ai campi magnetici;
il secondo sono i materiali che resistano alle condizioni del reattore;
il terzo è il problema delle interruzioni repentine del funzionamento e del conseguente enorme stress meccanico a cui è sottoposto il reattore;
infine occorre migliorare l’efficienza di tutti i componenti.
Il consorzio europeo punta a completare il reattore ITER per il 2025 in modo da iniziare le operazioni con le reazioni a fusione per il 2035. Successivamente, per il 2050, verrà realizzato DEMO, un reattore che dovrà dimostrare la possibilità di sostenere una reazione di fusione per un tempo lungo, di almeno 1000 secondi, con produzione di energia elettrica in rete. In breve, DEMO sarà uno sviluppo di ITER in grado di mantenere la reazione per un tempo maggiore.
La ricerca europea punta anche sullo Stellarator, basato su su un concetto alternativo a quello di Tokamak, per confinare il plasma in modo stazionario.
Il progetto con CFS al quale partecipa l’Eni ha il vantaggio di puntare a un reattore più piccolo e di coinvolgere un minor numero di partecipanti. Sarà completato in circa 15 anni.
La sua realizzazione prevede tre fasi:
- lo sviluppo di magneti superconduttori ad alta temperatura,
- la costruzione di un dispositivo sperimentale con produzione energetica positiva;
- la gestione del primo impianto industriale per la produzione di energia da fusione continua.
Il punto chiave di questo progetto sta proprio nei superconduttori. Rispetto a quelli di ITER, i superconduttori del progetto con CFS possono lavorare a temperatura più alta e ciò permetterà una gestione dell’energia più efficiente, aprendo la strada a rettori circa dieci volte più piccoli.
Il futuro prossimo sarà fondamentale per identificare le soluzioni progettuali necessarie per sfruttare le conoscenze tecnologiche accumulate fino ad ora.
La ricerca in Francia
Il reattore a fusione nucleare ITER inizia a prendere forma. A Saint Paul Lez Durance, in Francia, colpisce la dimensione del cantiere polveroso fra le creste calcaree della Provenza, in cui gli operai dispongono ad anello immense lastre di cemento.
Più sopra si è accennato al progetto ITER (International Thermonuclear Expermental Reactor) su cui stanno investendo diversi paesi del mondo alla ricerca di energia pulita, economica e sicura. Un progetto ambizioso a cui prende parte anche l’Italia, con l’azienda ASG Superconductors di Genova a cui è affidata la produzione di 10 dei 19 magneti che dovranno creare il campo di confinamento. Si tratta di un reattore di tipo tokamak, quasi come il Wendelstein 7-X stellarator che è da poco stato acceso in Germania.
Come l’impianto tedesco non è una centrale di produzione di energia elettrica. Allo stato attuale si tratta più che altro di un enorme, ed enormemente complesso e costoso, esperimento di Fisica. Se tutto andrà secondo i piani entrambi gli impianti saranno gli antesignani delle centrali elettriche del futuro – e fra l’altro daranno un grande contributo alla riduzione delle emissioni che provocano il surriscaldamento globale.
Se solo fra molti anni beneficeremo direttamente di questo investimento, al momento il loro ruolo è comunque ambizioso sul piano scientifico: testare la fusione nucleare, ossia la reazione atomica che avviene nel Sole (e in generale nelle stelle), e riuscire a controllarla per generare energia.
Per chiarezza, ITER non produrrà elettricità ma calore, che successivamente si può trasformare in energia elettrica – molto più semplice da trasportare e utilizzare. Semplificando al massimo, il metodo è quello che vi avevamo già spiegato in passato: la produzione di energia avviene per mezzo della fusione di atomi di deuterio e trizio, due isotopi dell’idrogeno, allo stato di plasma (un gas a temperature comprese fra 100 e 150 milioni di gradi) confinato in giganteschi magneti.
Finora sono stati condotti esperimenti di fusione più piccoli che hanno funzionato. L’esperimento tedesco ha prodotto il primo plasma di idrogeno con un impulso di due megawatt di radiazioni a microonde, e riscaldato il gas di idrogeno fino a 80 milioni di gradi per un quarto di secondo. La tabella di marcia prevede poi l’incremento della potenza di riscaldamento a microonde del plasma fino a 20 megawatt, per un tempo massimo di 30 minuti. Solo a partire dal 2019 si faranno reazioni di fusione impiegando anche il deuterio. Per ottenere una produzione di energia tuttavia occorre produrre più energia di quanta l’impianto ne consumi, e nel caso dello stellerator tedesco i responsabili hanno già anticipato che le prime reazioni di fusione non saranno sufficienti a fornire più energia di quanta se ne consumerà.
Insomma il cammino da percorrere è lungo, ma la buona notizia è che il progetto di ITER ha progredito a singhiozzo per anni, fra problemi di progettazione e di gestione che hanno portato a lunghi ritardi e alla lievitazione dei costi. Ora sta finalmente decollando, sotto la guida del direttore generale Bernard Bigot, che si è preso carico di questa sfida più di due anni fa e che dopo una fase critica di avvio ha dichiarato al New York Times che i lavori procedono “a pieno ritmo e stanno accelerando”.
Una volta terminata, la struttura avrà un diametro di circa 30 metri e un’altezza analoga, più grande del Wendelstein 7-X, che consiste in un dispositivo di forma toroidale con larghezza di 16 metri. La dimensione potrebbe fare la differenza, perché i fisici si aspettano che ITER benefici della sua ampiezza per produrre – una vola a regime – circa 10 volte più energia di quanta ne consuma.
Il “primo plasma” composto da idrogeno puro (senza deuterio, senza reazioni di fusione) dovrebbe essere generato da ITER fra otto anni, sempre che il progetto non subisca altri ritardi. La prima fusione con deuterio e trizio, che forse potrebbe essere protratta per sei o sette minuti, non avverrà prima del 2035.
Tratto da:
https://svppbellum.blogspot.com/2019/10/prosegue-senza-soste-la-ricerca-nel.html
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