di Davide Gionco
Anche se nessuna forza politica dichiara apertamente che l’Italia dovrebbe uscire dall’euro, la questione sulla permanenza nella moneta unica sta diventando (finalmente) centrale nel dibattito pubblico e lo sarà sempre di più nei mesi a venire, con l’emergere delle criticità della struttura economica dell’Unione Europea, a partire dal ruolo della Germania e dalle sue principali banche, come Deutsche Bank .
Al di là di ogni considerazione teorico-economica sull’utilità o meno per l’Italia di avere aderito agli accordi sulla moneta unica europea, ci sono alcuni dati oggettivi che obbligano ad un sano bagno di realismo.
La produzione industriale italiana ho oggettivamente subito un crollo a seguito dell’ingresso dell’Italia nella moneta unica nel 1998.
A seguito dell’ingresso nell’euro in Italia vi è stata una riduzione del numero di ore lavorate. Ovvero se per le statistiche una persona che abbia lavorato poche ore a settimana non risulta disoccupata, in realtà vi è stata una riduzione delle “ore di occupazione” complessive, che è stata distribuita sul molti lavoratori, loro malgrado, a tempo parziale. Questo, peraltro, è avvenuto in tutti i paesi europei, causa le politiche di austerità, ma in modo più pronunciato in Italia.
Si è inoltre avuto un calo delle retribuzioni orarie, non per i fortunati che hanno conservato il posto di lavoro fisso, ma per tutti coloro che hanno dovuto trovarsi un nuovo impiego.
A causa dell’alto tasso di disoccupazione molte persone sono obbligate ad accettare stipendi del genere.
http://torino.repubblica.it/cronaca/2016/11/16/news/pina_amormino_servo_nelle_mense_per_550_euro_al_mese_ora_rischio_il_posto_-152125921/
A molte donne vengono probabilmente imposte prestazioni “extra” di tipo sessuale, obbligandole a scegliere fra una stipendio, a quelle condizioni, o la disoccupazione.
Ci sono molte piccole e medie imprese private e professionisti in cui il reddito è effettivamente basso, prossimo allo zero o, in alcuni casi, persino negativo. Sono imprese che tirano avanti consumando i risparmi di una vita, aspettando che la crisi finisca.
Per le statistiche queste persone, che lavorano in perdita, non sono ufficialmente disoccupate, ma che senso ha considerare “occupata” una persona che lavora percependo un reddito negativo?
E’ crollata la propensione al risparmio.
La povertà in Italia, in seguito all’ingresso nell’euro, è aumentata, sia in termini di persone in povertà assoluta, sia in termini di persone a rischio di povertà.
Questo è avvenuto non solo in Italia, ma soprattutto in Italia
Che cosa significa, nel concreto, un aumento della povertà?
C’è stato prima un arresto e poi un crollo della crescita economica, che la timida inversione di tendenza degli ultimi anni è ben lontana da farci pensare ad un recupero
Questo è avvenuto in quanto con l’adozione dell’euro c’è stato un crollo degli investimenti interni, in particolare dopo la crisi del 2008.
In sostanza abbiamo ridotto il nostro reddito, impoverendoci, per riuscire ad essere competitivi per le esportazioni. Questo è stato ottenuto tagliando gli investimenti interni, pubblici e privati (austerity) e causando un aumento della povertà nel paese.
Si tratta di un modello economico assoutamente miope e controproducente.
L’euro non è solo una moneta, un mezzo di scambio, qualcosa di neutrale rispetto alla nostra economia.
L’euro è un sistema di regole a cui è necessario adeguarsi per restare nel sistema:
- Limitazione al deficit di bilancio pubblico
- Politiche per la riduzione del debito pubblico
- Tasso di cambio fisso con gli altri paesi dell’Eurozona, in particolare con la Germania
- Divieto allo Stato di controllare la propria banca centrale
- Regole giuridiche per la creazione a debito del nuovo denaro a corso legale
- Oltre il 90% del denaro che utilizziamo emesso dal sistema bancario privato, con tutti i problemi che ne derivano
- Spostamento del centro decisionale sulle questioni economiche dal Parlamento italiano, secondo quanto previsto dalla Costituzione, alla Commissione Europea ed alla BCE, organismi molto distanti dal controllo democratico popolare, favorendo le ingerenze delle lobbies, in particolare di quelle finanziarie, a loro beneficio e nostro danno
Ora ci saranno degli “esperti di economia” che sosterranno che sono “altre” le cause della crisi economica e dell’aumento della povertà in Italia: la corruzione, la mafia, l’evasione fiscale, gli sprechi nel settore pubblico, l’ignoranza del popolo italiano, la globalizzazione, ecc.
Per il momento noi vogliamo evidenziare come le “regole” da 1) a 7) sono sostanzialmente state introdotte in Italia fra il 1992 e il 1998.
Prima di allora l’economia italiana funzionava tutto sommato bene, nonostante tutti problemi sopra elencati, supposte cause “non legate all’euro” della crisi economica in Italia, fossero già esistenti da tempo.
Per queste ragioni riteniamo che si debba doverosamente aprire il dibattito pubblico in Italia, senza pregiudizi ideologici, sul ruolo dell’euro moneta unica nella crisi economica che ci ha colpiti, se sia per noi conveniente e necessario restare nel sistema euro e su quali sarebbero le conseguenze di un riposizionamento dell’Italia nel caso di una uscita dall’Eurozona.
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