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Riflessione sulla morte dei diritti e sulle ipotesi di sopravvivenza
Articolo pubblicato anche su Sfero
Il precipitare di gran parte dell’umanità nello scientificamente ingiustificato, ma sapientemente promosso terrore pandemico, è il segno inequivocabile e definitivo di quanto sia profonda la crisi culturale, sociale, civile, politica e spirituale della nostra epoca.
Dimentichi della storia, poveri di filosofia, ignari del diritto, abbacinati dal “fulgore” di una “scienza” deificata ed eletta a regola suprema, ma comprensibile solo come interesse industriale e oligarchico privato, la maggior parte degli uomini e delle donne sono “riusciti” a non vedere le enormi contraddizioni in quanto accaduto negli ultimi due anni.
Solo una minoranza di noi, certamente non esigua, sembra disposta ad interpretare diversamente la realtà, a non giustificare gli innumerevoli crimini commessi contro uomini, donne, bambini, sani e malati, consapevoli che il mondo si sta avvicinando ad un punto di non ritorno.
La devastazione civile e culturale dell’aggregazione umana nei paesi che si ritengono moderni e “progressisti”, impone una definitiva riflessione sulle mancanze della civiltà e della politica Occidentali.
Se è vero, come è vero, che la prima questione politica riguarda la sovranità – più precisamente la sua natura, legittimazione e modi di chi la esercita – non possiamo non mettere l’attenzione sui fondamentali squilibri e contraddizioni presenti in questo ambito, proprio nelle cosiddette “democrazie liberali”.
In estrema sintesi, credo si possa decisamente individuare un primo enorme problema: il fatto che le democrazie liberali scontino un enorme disallineamento fra i loro principi valoriali e operativi, dati nelle Costituzioni, e le reali prassi politico-istituzionali, interne ed esterne.
Tale discrasia è sistematicamente provocata e alimentata dall’occupazione corporativa di quasi ogni ambito generante scienza, arte e cultura, e da un racconto mediatico capace di formare, data la sua potenza, il pensiero e la visione unica dominante.
La risultante di questa occupazione sembra essere, chiaramente un futuro distopico di controllo tecnocratico globale.
Questi problemi, e tutta la cascata di effetti in ogni ambito civile, hanno da troppo tempo generato popoli “disattenti” ai loro diritti, allo stesso Stato di diritto, spesso addirittura indicato come la fonte di tutti i problemi.
Tutto ciò si rispecchia in una cultura che non sembra riconoscere più gli stessi diritti universali che dovrebbero caratterizzarla, se non a livello di “istintivo” libertarismo, e che addirittura pretende di aggiornare secondo una visione sempre più “consumistica”, “edonistica” e “personalizzata”, assai lontana dai 30 punti della Dichiarazione Universale: ogni riferimento all’ideologia gender e alla distruzione liquida dell’identità è puramente voluto.
E siamo così al divide et impera, comune a tutte le dittature, in cui una consistente parte del popolo, “reclutato” come collaborazionista, reclama l’esclusività di diritti da negare ai “nemici” di turno della “sicurezza” pubblica, nella nuova era digital-secur-sanitaria stile cinese.
Ecco in breve, la sintesi del disastro civile dato dalla sostanziale rimozione dei diritti umani mai veramente entrati, se non a livello di sola retorica, nella prassi politico-giuridica come valori cui orientare ogni ambito politico e decisionale, persino culturale.
Le ideologie, le appartenenze, i mondi destra/sinistra non li hanno mai accettati veramente: da una parte troppo “destrorsi”, dall’altra troppo “sinistrorsi”.
La destra si sarebbe vista sfilare da sotto il naso la prerogativa “ordine & sicurezza”: quali “nemici” se tutti gli uomini avevano pari dignità e responsabilità?
La sinistra si vedeva superata nei diritti civili e da una “giustizia sociale” che apparteneva alla natura umana, non frutto di avventurose “lotte di classe”.
I diritti umani scontano quindi, da sempre, quella che potrebbe apparire come una strana “abrogazione” pubblica, quasi fossero in anticipo sui tempi storici di un’umanità ancora troppo divisa e frastornata per assumerli senza riserve, in piena comprensione.
Con la “tecnocrazia sanitaria” e la “bollinatura” stile green pass siamo quindi a un bivio, non solo per il tipo di regime, ma anche per la sopravvivenza dei nuovi discriminati.
Se quanto da me scritto non troverà costruzione, se le spire del “securitarismo” arriveranno a chiedere il marchio per esercitare il suffragio, così non più universale, saremo definitivamente fuori dalla politica e dallo Stato di diritto.
Dovremo quindi provare a costruire le nostre “Comunità dei Diritti Umani”, le ultime “riserve indiane” in cui preservare dignità, libertà, arte e cultura per mostrare agli altri, se ne saremo capaci, come si può vivere pienamente all’insegna di quei valori che le oligarchie vogliono cancellare dalla storia con l’aiuto estorto dei più.
Ciò richiederà arguzia, progettualità, organizzazione, l’aiuto di giuristi, intellettuali, del mondo libero e di nuovi militanti, perché il sistema avrà sempre paura dei nostri “virus” culturali e civili.
Sarà un guado durissimo, ma non abbiamo fatto abbastanza per evitarlo.
Ps. Ad un mese di distanza sulla stessa linea si esprime il grande Giorgio Agamben con questo: https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-una-comunit-14-ella-societa
Massimo Franceschini, 18 agosto 2021
fonte immagine: Pixabay
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