di Fabio Parola
Uno strano fermento corre per gli Stati Uniti: “Feel the Bern”. Con questo slogan i sostenitori di Bernie Sanders, candidato alla nomination del Partito Democratico, battono le strade e i centri congressi degli USA diffondendo il vangelo del senatore indipendente del Vermont, che da cinquant’anni a questa parte ha predicato la necessità di correggere gli eccessi della società americana, ridurre le diseguaglianze e garantire istruzione e sanità pubbliche. Un programma di capitalismo sociale di buon senso per alcuni; per altri, l’inizio di una pericolosa corsa verso la rivoluzione socialista. A quattro anni dal primo tentativo di vincere la nomination democratica, Sanders e i suoi sostenitori sono ormai figure centrali nel dibattito interno al partito, che proprio grazie a loro ha spostato sempre più a sinistra la propria piattaforma politica. I prossimi mesi diranno se la proposta di Sanders farà presa sull’elettorato e se gli Stati Uniti sono davvero pronti alla sua rivoluzione culturale. Dopo il secondo posto nei caucus in Iowa e la vittoria nelle primarie in New Hampshire, Sanders si sta imponendo come candidato favorito contro il presidente uscente Donald Trump.
Bernard “Bernie” Sanders è sempre stato piuttosto riservato sulla sua storia familiare e la sua vita personale. Nasce nel settembre 1941 a Brooklyn, New York, da una famiglia ebraica immigrata negli USA negli anni ’20 dalla Polonia. Fin da bambino, Sanders sperimenta in prima persona quanto sia difficile per gli strati sociali più svantaggiati trasformare in realtà il “sogno americano”: la famiglia deve fare una attenta economia per arrivare alla fine del mese. Nel giro di due anni, tra il 1960 e il 1962, il giovane Bernie perde entrambi i genitori. Riesce comunque a terminare gli studi all’Università di Chicago, dove si laurea in scienze politiche. Lui stesso confessa però di essere stato uno studente mediocre, più interessato alla vita della comunità studentesca della città che non alle lezioni universitarie.
È proprio tra gli attivisti della comunità studentesca di Chicago che Sanders scopre la passione per la politica, quella della strada e dei sit-in prima che dei palazzi e dei dibattiti parlamentari. Sanders si unisce alla sezione giovanile del Partito Socialista d’America e partecipa a diverse mobilitazioni per i diritti civili e antisegregazioniste. Nel 1963 Bernie è tra la folla che, dal prato di fronte al Lincoln Memorial di Washington, ascolta Martin Luther King Jr pronunciare il suo “I have a dream”. Dopo la laurea, Sanders torna a New York e si tiene impegnato con le più varie occupazioni saltuarie, dall’insegnante al carpentiere, all’assistente in una clinica psichiatrica. Ben presto, nel 1968, decide di abbandonare la città per trasferirsi a Stannard, un villaggio di 90 abitanti nel Vermont. Lì continua a lavorare come carpentiere, mentre scrive articoli per piccole testate indipendenti.
Nel 1971, a trent’anni, Sanders si sente finalmente pronto a entrare in politica. Entra nel Liberty Union Party, una formazione socialista del Vermont, e corre per il governatorato dello stato nel 1972. Nello stesso anno, si candida al Senato degli Stati Uniti. Fallisce in entrambe le competizioni. Fallisce anche nelle elezioni senatoriali del 1974 e, di nuovo, correndo come governatore nel 1976.
Poco male, perché Bernie non ha alcuna intenzione di rinunciare alla lotta. Nel 1980, a 39 anni, si candida a sindaco di Burlington, la città più popolosa del Vermont. L’avversario è il democratico Gordon Paquette, sindaco della città da dieci anni e un insider dei circoli politici e imprenditoriali della zona, una figura considerata talmente inattaccabile che per quelle elezioni il Partito Repubblicano non propone nemmeno un proprio candidato. Da sfidante unico, Sanders comincia una capillare campagna elettorale porta a porta, in cui riversa tutta la sua esperienza di attivista politico. I cittadini di Burlington rispondono e un gruppo sempre più numeroso di sostenitori si mobilita per aiutare la sua corsa. Lo sostengono disoccupati e lavoratori dei servizi sociali, studenti e professori, ambientalisti e pacifisti, persino il sindacato di polizia della città.
Il messaggio di Sanders è semplice, quasi manicheo: ci sono due Americhe, quella dei milionari che vogliono mettere le mani sulle istituzioni per tutelare i propri interessi e quella della gente comune, dei lavoratori e delle classi svantaggiate che hanno bisogno di protezione; Sanders sta con questi ultimi. I toni sono populisti e il giovane candidato non ha paura di definirsi “socialista”, parola quasi tabù negli USA della Guerra fredda. Ma sono anche gli anni della stagflazione, con gli affitti che crescono e la crisi petrolifera che ha ormai messo una pietra tombale sul boom economico del dopoguerra. Tanti, a Burlington, si fidano. Bastano: con dodici voti di scarto su Paquette, Bernie Sanders viene eletto sindaco della città.
Per l’establishment politico locale, la cosa non si ripeterà: Bernie Sanders è una di quelle anomalie della storia che scombinano gli schemi di sondaggisti e strateghi politici ma che, come un fiocco di neve populista, non potrà che sciogliersi appena la temperatura nelle stanze di governo inizierà a salire. Invece, Sanders sembra aver rotto la maledizione: viene rieletto sindaco per altri quattro mandati, diventa deputato del Congresso nel 1991 e senatore nel 2007. Secondo un sondaggio del 2011, è il terzo senatore con il più alto indice di gradimento tra i propri elettori.
Nell’aprile 2015, a 73 anni, Bernie Sanders lancia la sua sfida più ambiziosa candidandosi alle primarie del Partito Democratico per le elezioni presidenziali dell’anno seguente. La candidatura è quantomeno improbabile (Sanders non è nemmeno iscritto al partito di cui vorrebbe diventare frontrunner), eppure Sanders si rivela fin dalle prime fasi della campagna una seria minaccia alla corsa, fino ad allora solitaria o quasi, della favorita Hillary Clinton. Alla fine, Sanders vincerà 23 delle 57 elezioni primarie, raccogliendo quasi il 40% delle preferenze; pur nella sconfitta, un risultato impensabile fino a pochi mesi prima.
Ancora una volta, sono in tanti a considerare Sanders un’eccezione temporanea e passeggera. Invece, con le primarie del 2016 si è aperta una stagione di forte fermento interno per il Partito Democratico. Attorno alla bandiera socialdemocratica di Sanders, con le sue parole d’ordine a favore di salario minimo, “Medicare per tutti” e istruzione universitaria gratuita, si raccoglie un numero sempre maggiore di esponenti democratici ed elettori. Molti dei volti nuovi che entrano al Congresso alle elezioni del 2018, strappando la maggioranza ai repubblicani, corrono su proposte elettorali che riprendono le battaglie di Sanders e si schierano al suo fianco. Alle primarie del 2020, tutti i contendenti democratici devono fare i conti con i temi messi sul tavolo da Sanders e dall’ala più radicale del partito.
Oggi, Sanders è ormai una voce ben nota ai media e al grande pubblico, le cui proposte di rottura fanno spesso presa anche tra i sostenitori dell’altro grande populista della politica USA, il presidente Donald Trump. A 78 anni, tuttavia, Sanders diventerebbe il più anziano presidente eletto di sempre, un’età che alcuni si chiedono se non sia troppo avanzata per gestire le pressioni della carica; i timori si sono rafforzati a ottobre, dopo che il senatore ha sofferto un attacco cardiaco durante la campagna elettorale. L’interruzione degli impegni politici, però, è durata solo pochi giorni prima che lo scapigliato senatore del Vermont ricominciasse il suo tour, un profeta socialdemocratico nella patria del capitalismo.
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