Il più grande problema politico riguardante i diritti umani
Per chi preferisce ascoltare, qui la versione AUDIO dell’articolo dal podcast relativo, qui la presentazione della serie audio
Ciao, eccoci a commentare il prossimo articolo della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, dal testo perentorio ed inequivocabile.
Articolo 22
Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità.
Questo è il primo di quella parte di diritti con cui si chiude la Dichiarazione Universale, chiamati genericamente “sociali” per distinguerli da quelli “civili e politici”.
I giuristi li chiamano anche di “seconda generazione” o “negativi” dove la “prima generazione/positivi” sarebbero quelli “civili/politici”.
Sulle conseguenze di questa divisione in settori dei 30 diritti mi sono già espresso qui, commentando 3 articoli apparsi sulla stampa.
La perentorietà nella formulazione di questo articolo mette subito in chiaro una cosa: la dignità di ogni uomo e lo sviluppo della sua personalità, che sono il necessario fondamento della Dichiarazione Universale, hanno bisogno dei diritti economici, sociali e culturali, che devono pertanto essere completamente garantiti.
La nostra Costituzione è uno dei classici esempi di ricezione di questo diritto, già al punto 3, mentre al punto 2 fa chiaramente riferimento all’insieme dei diritti universali.
Date le perdite di sovranità delle nazioni in favore di logge private e corporazioni globali, questo diritto è oggi in larga misura disatteso.
La formulazione di questo principio ci mostra senza ombra di dubbio un fatto ben preciso, che la politica e gli stessi “difensori” dei diritti umani sembrano spesso non prendere adeguatamente in considerazione: l’attuazione della libertà e della dignità che appartiene di diritto ad ogni essere umano, che abbiamo affrontato negli articoli precedenti in tutti i complessi risvolti, non può compiersi senza una totale assunzione civile e politica di tutti i diritti della Dichiarazione Universale.
Da questa osservazione risulta, di conseguenza, che ogni rivendicazione parziale di uno o più diritti civili o politici che non comprenda un’eguale riscontro sociale debba considerarsi distorta e sospetta.
Facciamo due esempi.
Come abbiamo chiaramente visto nel precedente articolo, le nazioni occidentali sono caratterizzate da una contraddittoria e parziale attuazione dei diritti politici.
In relazione a questo articolo possiamo dire, oltretutto, che non creano delle economie “sane”, non riescono a favorire una piena occupazione, cosa invece possibilissima, non aiutano adeguatamente quelli che non possono lavorare.
Sicurezza sociale e diritti economici dovrebbero significare, oltre all’assistenza per chi non può lavorare o per chi temporaneamente disoccupato, una sola cosa: che dovrebbe esistere la possibilità di un posto di lavoro per tutti, con una base retributiva che parta da uno stipendio minimo garantito e indicizzato al costo della vita, in grado di assicurare una vita degna di essere vissuta per il lavoratore e la sua famiglia, in ottemperanza al testo dell’articolo qui in discussione.
La realtà ci parla di una politica e degli Stati che, al contrario, si lasciano pesantemente condizionare da corporazioni, finanza e banche private nella politica, nella negazione di diritti, nella formulazione di leggi, nell’impronta da dare alle economie, nell’impossibilità di avere risorse monetarie proprie libere da debito e nella costruzione di rapporti internazionali assai discutibili, se analizzati nell’ottica dei diritti umani.
La fotografia politico-economica dell’Occidente viola completamente quei principi universali che pretende di voler difendere internazionalmente.
Altro esempio di parziale rivendicazione dei diritti universali lo abbiamo per il problema dell’immigrazione di massa, di cui ci siamo occupati in relazione agli articoli 13, 14 e 15.
Le associazioni che si occupano di diritti umani compiono in genere una doppia distorsione: da una parte spingono per un’accoglienza generalizzata, considerano l’immigrazione come inevitabile e sistemica, senza sottolineare l’atroce ingiustizia insita nel “non poter” vivere sul suolo natio, e non denunciano le vere cause politiche, economiche, finanziarie, monetarie, militari e strategiche che stanno alla base di questo triste fenomeno.
Forse è troppo per loro mettere in discussione le corporazioni private che depredano l’Africa e che governano i destini delle morenti democrazie occidentali?
Perché non impiegano uguali risorse per denunciare una politica che si fa allegramente corrompere da finanza e banche private?
Non hanno niente da dire su un Occidente schiavo di “monete-debito” private?
Non riconoscono come tale la schiavitù monetaria che impedisce di avere economie condotte in modo equilibrato e coerente con i diritti umani, da Stati di diritto finalmente trasparenti e dalla parte dei cittadini?
Solo delle economie libere dalle ingerenze delle corporazioni private potrebbero implementare le misure necessarie ad un “aiuto costruttivo” per ogni persona che non sia in grado di sostenersi da sé.
Economie comunque libere, ma non così tanto da non essere sottoposte ad un controllo e indirizzo da parte di una politica intenzionata ad attuare tutti i diritti umani.
Bastano questi due esempi per capire chiaramente le contraddizioni della modernità, della politica e dei “difensori dei diritti umani”, contraddizioni che stanno arrivando ad un punto di rottura dagli esiti incerti e pericolosi.
Da questo articolo capiamo anche il tipo di responsabilità cui sono chiamati tutti quei soggetti culturali e politici che vogliono sinceramente cambiare in meglio il sistema: quella di capire che per costruire e rivendicare una società più giusta ed un futuro a misura di ogni uomo basta appellarsi al complesso di questi 30 diritti.
L’Occidente e la maggior parte del pianeta afferma di approvarli e sostenerli, abbiamo solo bisogno di consapevolezza, responsabilità e volontà per attuarli.
Sono il minimo comun denominatore del vivere civile, il fattore culturale più unificante su cui si può costruire un accordo politico vasto, interculturale e internazionale, senza che tale consenso sia l’ennesimo cavallo di Troia per giustificare invasioni e strategie globali colonialiste.
Oltre alla consapevolezza, alla volontà, alla coerenza ed alle capacità non serve altro.
Massimo Franceschini, 12 gennaio 2019
Questo il bellissimo video relativo all’Art. 22 dell’associazione no-profit: “Gioventù per i Diritti Umani”
il mio libro, un programma politico ispirato ai diritti umani
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